N. 46 - 2016 13 novembre 2016
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I figli ci chiedono

La parabola dei talenti mi sembra ingiusta!

Dio toglie, all’uomo che ha un solo talento, anche quello. assurdo!. Con le parabole Gesù vuole svegliare le persone dal loro torpore... Dipende poi anche da come le leggi!
E tu che spiegazione ne dai? Ognuno di noi ha dei talenti. Il problema è: cosa ne facciamo? Non possiamo lavarcene le mani: a noi tocca fare la nostra parte, da protagonisti della vita

Gesù che istruisce la folla

L’altro giorno il parroco ha letto la parabola dei talenti. A me non è piaciuta per niente.

Sai che le domande che mi fai quando sei arrabbiata sono quelle che preferisco?

Dai, smettila! Io ti parlo col cuore e tu mi prendi in giro?

No, davvero. Credo che quando le parole di Gesù fanno adirare, è la volta che si capiscono meglio. Tempo fa un sacerdote mi diceva che Gesù è il grande “rompi”. Io ci ho pensato e credo che avesse ragione. È una buona definizione. Se teniamo a mente che Gesù con le parabole voleva smuovere le persone, per destarle dal loro torpore di tiepidi benpensanti, lo capiamo più in profondità.

«Se avrete fede pari a un granello di senape», dice il Vangelo, «direte a questo monte: “Spostati da qui a là”, ed esso si sposterà». Beh, quanti cristiani conosci che sanno smuovere le montagne? Eppure tutti hanno il dono della fede. Perché sono così pochi quelli che sanno farne buon uso? Vedi, allora, che abbiamo bisogno di essere scossi, altrimenti corriamo il rischio di essere cristiani in stile “bella addormentata”. Tornando a noi, mi dici perché la parabola dei talenti non ti è piaciuta per niente?

È ingiusta. Non tutti nascono con tante doti. Perché, a quelli che ne hanno una sola, Dio gliela toglie? Ti pare una cosa bella?

Beh, vista così ti do ragione. Eppure a me non sembra che la parabola dei talenti dica questo. La vedo in modo diverso. Ti dirò la mia interpretazione. Il Signore, alla nascita, fornisce tutti di un panierino di doni: pensa alla capacità di amare, di essere onesti, o comprensivi, di provare simpatia per gli altri esseri umani, di agire per migliorare il mondo... Questi sentimenti sono comuni a tutta l’umanità. Ogni uomo è fatto per scoprire in sé queste doti. Il problema è: cosa ne facciamo?

La parabola dice chiaramente che non possiamo lavarcene le mani, come se i talenti fruttassero da soli, per miracolo, o per scienza infusa. Non possiamo dire a Dio: senti un po’, tu mi hai dato questi talenti e ora devi arrangiarti tu, perché io non so che farmene. Cioè, lo possiamo dire, perché siamo liberi, ma se lo facciamo non andremo lontano, i nostri doni si perderebbero per strada. Saremmo come quel tipo che prende in mano l’unico talento e lo caccia sottoterra.

Vogliamo essere dei cristiani “struzzo”? Vogliamo fare come Pinocchio, che seminava le monete e aspettava che nascessero gli alberi dell’oro? O vogliamo rimboccarci le maniche perché le monete si moltiplichino? Quindi, non è Dio che toglie l’unico talento, è quel tipo che lo butta a mare.

Quello che voglio dire è che ognuno ha delle responsabilità nella vita, con se stesso e con gli altri. Le cose nostre dobbiamo gestirle noi, davanti alle scelte non possiamo metterci da parte, aspettando che altri scelgano per noi, dobbiamo essere protagonisti della nostra vita. E qui viene la parte del “trafficare” per far fruttare i talenti.

Cioè?

«Non può restare nascosta una città che sta sopra un monte», dice Gesù, «né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa».

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