N. 46 - 2016 13 novembre 2016
INSIEME di don Antonio Rizzolo

Dove incontrare Gesù? «Ero in carcere e siete venuti a trovarmi»

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INSIEME di don Antonio Rizzolo

Dove incontrare Gesù? «Ero in carcere e siete venuti a trovarmi»

Il Giubileo dei detenuti ci invita a una nuova mentalità, che vede nella cella non una punizione, ma una possibilità di riscatto. Facciamo nostro l’appello del papa per un gesto di clemenza in questo Anno Santo

 

Cari amici lettori, sono stato una sola volta in carcere, molti anni fa, in visita. Era il carcere di Regina Coeli, a Roma, e vi ero andato insieme a un gruppo di giovani paolini per una celebrazione eucaristica e per donare una copia del Vangelo.

Quello che più mi ha colpito è stato il dialogo informale con alcuni detenuti, subito dopo la Messa: c’era chi mi raccontava la sua storia, chi chiedeva una preghiera, chi aveva semplicemente voglia di parlare. In tutti ho avvertito una speranza di rinascita, un desiderio di cambiare in fondo al cuore. Quella stessa speranza di cui ha parlato papa Francesco nella Messa di domenica scorsa, in occasione del Giubileo dei carcerati. «La speranza», ha detto il Papa, «è dono di Dio. Dobbiamo chiederla. Essa è posta nel più profondo del cuore di ogni persona perché possa rischiarare con la sua luce il presente, spesso turbato e offuscato da tante situazioni che portano tristezza e dolore». Ma cosa vuol dire speranza per chi è in carcere? «In primo luogo», ha spiegato Francesco, «la certezza della presenza e della compassione di Dio, nonostante il male che abbiamo compiuto. Non esiste luogo nel nostro cuore che non possa essere raggiunto dall’amore di Dio». Questo vale per tutti noi, non solo per i detenuti. Per tutti noi peccatori, bisognosi di sperare che non tutto è perduto, che anche noi possiamo essere migliori.

Oggi è difficile mettere in pratica l’opera di misericordia che Gesù ci ha insegnato: «Ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Matteo 25,36). Servono, infatti, speciali permessi per accedere ai luoghi di pena. Sono ammessi solo i cappellani e alcuni volontari. Ma possiamo mettere in pratica quello che ci insegna Gesù anche in modo indiretto, prima di tutto con una mentalità nuova, che non vede il carcere solo come punizione, ma come la possibilità di reinserire i colpevoli nella società. Dovremmo, perciò, essere favorevoli a tutto ciò che aiuta i detenuti a preservare e riscoprire la propria umanità e far nostro l’appello di papa Francesco per «un miglioramento delle condizioni di vita nelle carceri in tutto il mondo, affinché sia rispettata pienamente la dignità umana dei detenuti» e in vista di uno speciale atto di clemenza in questo Anno santo della misericordia. Una cosa mi colpisce nelle parole di Gesù: dice semplicemente che era in carcere, non che era un detenuto senza colpa. La misericordia, l’offerta di un riscatto anche per chi è stato giustamente condannato, può cambiare i cuori, far rinascere la speranza, dare un senso anche a vite degradate e violente, e riscattarle a beneficio di tutta la società.

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