N. 47 - 2018 25 novembre 2018
INSIEME di don Antonio Rizzolo

La nuova traduzione del Padre nostro e del Gloria approvata dai vescovi

Con la nuova edizione del messale cambiano le parole di due preghiere presenti nella liturgia. Le versioni rinnovate entreranno…

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INSIEME di don Antonio Rizzolo

La nuova traduzione del Padre nostro e del Gloria approvata dai vescovi

Con la nuova edizione del messale cambiano le parole di due preghiere presenti nella liturgia. Le versioni rinnovate entreranno in vigore soltanto dopo essere state sottoposte alla Santa Sede

 

Cari amici lettori, l’Assemblea dei vescovi italiani che si è conclusa il 15 novembre ha approvato la traduzione italiana della terza edizione del Messale Romano, nella quale il Padre Nostro e il Gloria subiranno alcuni cambiamenti. Il nuovo Messale dovrà ora essere sottoposto alla Santa Sede prima di entrare in vigore; quindi, per ora, le nostre assemblee liturgiche continueranno a usare l’attuale versione.

Il Gloria verrà modificato in questo modo: «Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini, amati dal Signore». La precedente versione faceva riferimento agli «uomini di buona volontà» ed era una traduzione letterale dal latino. Il nuovo testo è basato sull’originale greco del Vangelo di Luca (2,14), dal quale l’inizio della preghiera è tratto. Più complesso è il discorso per il Padre Nostro (Matteo 6,9-13). La nuova versione sostituisce l’attuale «non indurci in tentazione» con «non abbandonarci alla tentazione». Sia nel caso del Gloria, sia in quello del Padre nostro, peraltro, la nuova traduzione corrisponde all’ultima versione ufficiale della Bibbia della Conferenza episcopale italiana, uscita nel 2008.

Il problema della traduzione del Padre Nostro ancora in uso è soprattutto nel termine “indurre”, che in italiano indica una costrizione, una spinta, un’istigazione. Anche qua il calco è sul testo latino (inducas). Ma sia il latino, sia l’originale greco indicano un più generico “portare dentro”, con un valore che gli esperti di grammatica chiamano concessivo: in altre parole con il significato di “lasciar entrare”. La nuova versione cerca di rendere meglio l’originale traducendo più a senso. Premesso che le tentazioni non mancano mai a nessuno di noi, perché la vita stessa, con le sue difficoltà, i suoi problemi, i suoi alti e bassi, mette continuamente alla prova la nostra fede e la nostra stessa umanità, l’espressione «non abbandonarci alla tentazione» è un’invocazione al Padre perché non ci faccia cadere, anzi nemmeno entrare nella tentazione. Non solo, gli chiediamo che anche quando siamo entrati nel tranello della tentazione egli non ci lasci soli, rimanga al nostro fianco. Non c’è nessuna angoscia in questa preghiera: noi sappiamo che il Padre ci ama e ci sostiene sempre. Per questo è con fiducia filiale che gli diciamo «non abbandonarci alla tentazione».

Un’ultima nota. Perché cambiare testi in uso da tanti anni? Le nostre lingue sono vive, si evolvono. Anche le parole della nostra preghiera. In questo caso le modifiche sono più aderenti al testo originale e ci fanno capire meglio quello che da sempre la nostra fede ci insegna: che Dio ci ama e non ci abbandona mai.

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