N. 5 - 2019 3 febbraio 2019
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Abbazia di Chiaravalle

Alle sorgenti della vita monastica

È stata fondata nel 1134 da san Bernardo alle portedi Milano e qui i Cistercensi hanno inventato il formaggio grana. Oggi i monaci sono impegnati in un ritorno alle radici dell’«ora et labora»

 L’abbazia di Chiaravalle

Se non fosse per i palazzoni di periferia che si intravedono in lontananza, il visitatore che arriva tra i campi e le rogge che circondano l’abbazia di Chiaravalle, nei confini amministrativi del Comune di Milano, si sente già in campagna. Da sempre l’abbazia di Chiaravalle è un luogo che tiene insieme ciò che appare inconciliabile: terra e cielo, lavoro e preghiera, metropoli e contado.

Ci aveva visto bene san Bernardo, il fondatore dell’abbazia francese di Clairvaux, quando nel 1134 giunse a Milano per dare vita a una filiazione del suo monastero e scelse questo luogo paludoso che non interessava a nessuno. Bernardo era un mistico (nella Divina commedia accompagna Dante nel Paradiso) ma era anche un esemplare seguace della regola benedettina, dove il lavoro è importante quanto la preghiera.

E così il sudore dei monaci trasformò in pochi decenni quel territorio in campi fertilissimi. Nei pressi dell’abbazia scorre il torrente Vettabbia che, dai tempi antichi e fino a pochi anni fa, era collettore di tutte le fogne di Milano. All’apparenza un fastidio, in realtà un tesoro per i Cistercensi che, utilizzando quelle acque ricche di sostanze nutritive, inventarono la tecnica della “marcita”, un’irrigazione continua che sommerge i prati sotto un pelo d’acqua e che permette di ottenere più raccolti di foraggio lungo tutto l’arco dell’anno. A questi monaci contadini si deve anche un’altra invenzione: grazie alla grande disponibilità di latte, misero a punto la ricetta del formaggio grana, che in grandi forme permette di conservare per mesi e poi commerciare il prodotto della mungitura che eccedeva le necessità della comunità.

Tanta laboriosità è ciò che ha consentito di far fiorire a Chiaravalle una tale meraviglia di architettura e arte dove nei secoli operarono personaggi come Bramante, Bernardino Luini e i fratelli, Giovan Battista e Giovan Mauro Della Rovere, detti “Fiammenghini” (il loro padre era originario di Anversa, e quindi fiammingo). E così sono arrivati fino ai nostri giorni tesori quali la chiesa abbaziale con le sue linee a cavallo tra romanico e gotico, il coro in legno intarsiato del Seicento, il bel chiostro dalle delicate colonnine scolpite, il refettorio monumentale e, soprattutto, la caratteristica torre campanaria, conosciuta come “Ciribiciaccola”, ispirata a modelli d’Oltralpe, che si eleva sopra il tiburio.

Fino a qualche anno fa non c’era bambino milanese che non conoscesse la filastrocca in dialetto ispirata alla torre di Chiaravalle: «Con cinqcentcinquantacinq ciribiciaccolitt var pusse’e la ciribiciaccola che i soo cinqcentcinquantacinq ciribiciaccolitt?» (Con cinquecentocinquantacinque ciribiciaccolini, vale di più la ciribiciaccola dei cinquecentocinquantacinque ciribiciaccolini?), probabilmente allusione al numero elevatissimo di colonnine che ne caratterizza la struttura o forse al fatto che le cicogne (che compaiono anche nel simbolo dell’abbazia) facevano il nido nelle nicchie e vi erano quindi una miriade di cicognini.

UOMINI DI DIO
Dopo secoli di opere e preghiere, nel 1798 l’abbazia fu soppressa da Napoleone. Ma i Cistercensi sono ritornati nel 1952. Da allora la comunità è cresciuta e oggi conta 19 monaci, dai 34 ai 95 anni, due dei quali di origine messicana. In parte provengono da altri monasteri cistercensi che sono stati chiusi. E così, nell’agosto del 2017, dopo oltre duecento anni, è stato di nuovo eletto un abate di Chiaravalle: è padre Stefano Zanolini, 65 anni.

«Puntiamo tutto sul ritorno alle sorgenti del monachesimo», spiega l’abate. Da quando guida la comunità, padre Zanolini ha voluto il recupero all’uso originario degli spazi del monastero: «La preghiera è sempre nel coro della chiesa, i pasti li consumiamo nel refettorio, la sala del capitolo è tornata a essere il luogo delle riunioni». Inoltre i monaci hanno rinunciato alla gestione della parrocchia, che è tornata ai preti diocesani. «Da noi la Chiesa ha bisogno di questo: che siamo monaci, uomini in ricerca di Dio» tra la Liturgia delle ore (che inizia alle 4.20 del mattino con la Vigilia e termina alle 20.15 con la Compieta), lo studio e il lavoro. «Abbiamo un’azienda agricola che si occupa soprattutto di allevamento di pollame e gestiamo il negozio dove i visitatori possono comprare i nostri prodotti e quelli di altre aziende agricole della zona». La foresteria è aperta a chi (uomini e donne) vuole condividere un periodo di spiritualità con i monaci. «Tanti vengono anche solo per un colloquio. C’è molto più desiderio di Dio di quanto si creda. Ci viene chiesto soprattutto ascolto».

NELLA RETE DELLA METROPOLI
«Siamo ben consci di dove ci troviamo», conclude padre Stefano: «Milano, con la sua vita e le sue contraddizioni, è qui a due passi. Per noi è importante fare rete: collaboriamo con altre realtà ecclesiali e laiche» nel progetto della Valle dei monaci (www.valledeimonaci.org)». Così l’abbazia diventa un luogo di incontro, un volano che anima il territorio. «Siamo una periferia. Ma, come ricorda papa Francesco, non tutte le periferie sono brutte».

L’interno dell'abbazia

ORGANIZZARE LA VISITA
L’abbazia di Chiaravalle
si trova in via Sant’Arialdo 102 a Milano. La chiesa e il chiostro si visitano dal martedì al sabato dalle ore 9 alle ore 12 e dalle ore 15 alle ore 17; la domenica dalle 15 alle 17. Per visite guidate contattare l’infopoint: tel. 02- 84.93.04.32. La liturgia comunitaria dei monaci è aperta ai fedeli. Orari delle preghiere e delle Messe su: www.monasterochiaravalle.it.
  

Testo e foto di Paolo Rappellino

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