N. 5 - 2019 3 febbraio 2019
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Suor Carla Venditti

Così aiuto le ragazze a sfuggire alla tratta

Dopo un’intuizione avuta durante un’adorazione eucaristica, ha cominciato a offrire amicizia alle vittime di sfruttamento. Ora è nata una fraternità che le accoglie

 Suor Carla Venditti

Tutto è nato dalla preghiera e lì ritorna. Non si tratta di slogan, ma di passione umana e spirituale. Perché mentre era in preghiera per la preparazione di una missione popolare cittadina suor Carla Venditti, delle Apostole del Sacro Cuore di Gesù, ha avuto un’intuizione: «E alle ragazze sulla strada chi ci pensa?». Così ogni giorno torna dall’adorazione — per «affidarmi sempre» — e dare linfa alla casa in cui accoglie giovani vittime di sfruttamento sessuale che hanno deciso di ribellarsi ai loro sfruttatori e ricominciare una nuova vita.

Succede ad Avezzano, in provincia de L’Aquila, dove il 25 novembre 2017 è stata inaugurata questa fraternità. Si chiama “Oasi Madre Clelia”, come l’omonima associazione di volontariato: hanno preso il nome dalla fondatrice della congregazione di suor Carla, la beata Clelia Merloni. La casa è stata ricavata in un’ala dell’istituto delle suore. Insieme a suor Carla, ci vivono la consorella 69enne suor Leonardina Amoruso, una ragazza che ha scelto di condividere il progetto, e attualmente quattro giovani nigeriane. «Non è semplice per niente», confida la religiosa. Dal 2015, insieme a un avvocato, Antonio Carlini, la consorella suor Lucia Soccio e diversi laici si continua ad andare in strada per  avvicinare altre giovani. «Alcune  hanno il terrore negli occhi e nel cuore, non si fidano più di nessuno… noi cerchiamo di offrire una via per la loro libertà».

«NON ANDAVO A MESSA»
Rileggendo la sua storia, suor Carla —  57 anni, marsicana —  comprende che Dio la chiamava da sempre. «Non andavo a Messa né frequentavo la Chiesa; diciannovenne, avevo già un bel gruppo di amici, ma incontrai dopo tanti anni una suora che era stata la mia catechista di prima Comunione, che m’invitò a partecipare a un gruppo formato da giovani di Azione cattolica. Mi sembrava scortese rifiutare, così accettai. Mi piaceva com’erano questi ragazzi; ero fidanzata e studiavo Lingue. All’improvviso ha cominciato a pungolarmi dentro una domanda: “E se tu non fossi per la vita matrimoniale?”. Dopo un cammino di discernimento, nel 1981 sono entrata in convento, incontrando la normalità fatta di serenità, di persone gioiose, anche di semplicità. Mi sono sentita subito al mio posto».

Già da novizia, a 22 anni, insegna nella scuola primaria e poi consegue la laurea in Lingue. «Dopo 30 anni ho capito a cosa mi serviva conoscere l’inglese: per parlare con queste ragazze e capirle». Da anni suor Carla si dedica ai bambini e ai giovani: «Ci tengo che scoprano la bellezza della Parola, della preghiera e dell’adorazione in maniera gioiosa».

La preghiera è il suo pallino: «Tutti gli altri sanno fare il resto meglio di noi religiose. La nostra profezia va oltre le cose da fare», sottolinea. E in questo clima il suo istituto si fa scomodare dall’invito di papa Francesco ad aprire le porte dei conventi. «Le nostre superiore cominciarono a interrogarsi su come mettere in pratica questa sollecitazione. Ci chiedevano di trovare un modo, non ci dicevano cosa fare nello specifico».

DALLA PARTE DELLE RAGAZZE
Arriva il 13 gennaio 2015, centenario del terremoto che colpì Avezzano. Con il vescovo e una piccola commissione pensa di celebrare questo anniversario con una missione popolare. Quando già era tutto stabilito, durante la Messa, l’intuizione di pensare «alle ragazze di strada». Suor Carla riceve subito l’appoggio della superiora provinciale, poi della generale. E con pochi volontari «e tanta incertezza» raggiunge i luoghi dove alcune giovani romene e nigeriane vendono il loro corpo. Non fanno niente di speciale: portano tè caldo, vestiti e amicizia. «È successa una cosa meravigliosa: loro, vedendo il mio abito, si sono aperte e hanno pianto. Poi hanno iniziato a chiederci aiuto, ma non avevamo un posto dove accoglierle». Suor Carla si rivolge all’associazione Papa Giovanni XXIII e a un’altra congregazione a San Benedetto del Tronto, per collocare le prime ragazze che decidono di lasciare la strada. Ma a loro volta queste comunità dicono di «essere strapiene e ci invitano a fare qualcosa. Abbiamo accettato la sfida».

Le regole non mancano: «Sono importanti», insiste suor Carla. «Dall’imparare l’italiano al mangiare tutte insieme, dalla frequenza dei laboratori di arte e musica alle esperienze lavorative, dai corsi di cultura generale all’imparare a fare la spesa. Le ragazze hanno bisogno di quotidianità e di fiducia. Ma se la tradiscono, sanno che andranno via. Finora non è mai successo. Cerchiamo di far rivivere prima la loro anima, il lavoro si trova dopo. Rimangono con noi circa un anno; una di loro, 23 anni, ha chiesto il Battesimo e l’ha ricevuto circa un anno fa. Ha un contratto presso la mensa dell’ospedale, dove lava i piatti, e grazie alla busta paga sta pensando di andare a vivere per conto suo: il suo obiettivo è far venire la figlia di cinque anni, cresciuta con la nonna in Nigeria».

Per sostenere questa missione, che vive solo di Provvidenza, le suore organizzano mercatini; suor Carla ha anche pubblicato due fiabe, fra cui Il narciso ribelle (Editrice Guerrino Leardini, a cura del Centro missionario francescano delle Marche), consigliata a scuole e gruppi parrocchiali: ogni copia costa 3 euro e tutto il ricavato va all’Oasi. Cosa serve alle ragazze? «Il lavoro, anzitutto, per dare loro un futuro. Poi generi alimentari a lunga conservazione. E invito chi ha pregiudizi a guardare negli occhi queste ragazze senza giudicare, osservarle dentro con il cuore di una madre, che è come quello di Dio».
  

Testo di Laura Badaracchi

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