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Il bambino di Betlemme come elogio della debolezza
La debolezza del Dio bambino è la nostra debolezza di fronte al dramma del mondo: non è indifferenza o rassegnazione ma…
Ite, missa est di Daniele Rocchetti
Il bambino di Betlemme come elogio della debolezza
La debolezza del Dio bambino è la nostra debolezza di fronte al dramma del mondo: non è indifferenza o rassegnazione ma Fragilità e fatica, domanda sempre aperta
L’ultima volta che sono stato ad Aleppo un solerte funzionario alla dogana dell’aeroporto notò un adesivo di un albergo israeliano posto sulla mia valigia. Per questo la bloccò e così fui costretto a recarmi nel suq per acquistare gli indumenti necessari per i giorni di permanenza. Quel dedalo intricato di vie – che l’Onu nel 1986 dichiarò patrimonio mondiale – oggi non c’è più: bombardato e distrutto. Come non c’è più l’Aleppo – bellissima! – che ho visitato: la Cittadella e la grande Moschea, l’antico quartiere di Al-Jadidah, vicino alla Bab al Faraj, la Porta del Paradiso, abitato dalla borghesia cristiana di origine armena: belle case, eleganti giardini, magnifiche chiese. Non lontano, alcune sinagoghe, a testimonianza di una presenza ebraica che si perde nei tempi. Aleppo era questo: un crogiolo di mondi, di popoli e di fedi. Un laboratorio di convivenza tra cristiani e tra cristiani e mussulmani. Oggi, dopo sette anni di guerra e di assedio, non c’è più la città, non ci sono più i monumenti, non ci sono più i cristiani, uccisi o costretti a fuggire.
Nei prossimi giorni faremo memoria del “Principe della Pace”. Custodiremo in silenzio il senso di impotenza che pare attanagliarci e che insinua il sospetto che niente nel mondo possa cambiare. Contempleremo, nella vicenda del nostro Dio che sceglie di farsi carne in un cucciolo d’uomo, l’elogio della debolezza. La debolezza del Dio bambino è la nostra debolezza di fronte al dramma di Aleppo, al dramma del mondo: non è indifferenza o rassegnazione ma fragilità e fatica, domanda sempre aperta. Un Dio incarnato che non abita solo nell’alto dei cieli, che è riflesso nel volto di ogni uomo, perché Dio ama al singolare e sollecita ciascuno di noi a fare spazio all’altro. Ad aprire i nostri orizzonti, a credere che il destino di ciascuno, specie se povero e disperato, braccato dall’insensatezza della guerra voluta dagli uomini, è il riflesso del destino di quel Dio che, in Gesù di Nazaret, nato a Betlemme, chiede a ciascuno la responsabilità di costruire con passione e dignità il pezzo di mondo affidato.
Illustrazione di Emanuele Fucecchi