N. 53 - 2017 31 dicembre 2017
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Padre Piero Gheddo

Addio al pioniere del giornalismo missionario

È morto a 88 anni il prete del Pime che fece scoprire al grande pubblico il mondo delle missioni. Là dove vide nascere «la Chiesa degli Atti degli apostoli»

Padre Piero Gheddo

Ora che padre Piero Gheddo se n’è andato, all’età di 88 anni dopo una lunga, progressiva malattia – che ne aveva indebolito il fisico ma non gli aveva impedito di scrivere sino all’ultimo – siamo in tanti a sentirci orfani di lui: nel mondo missionario, nella Chiesa in generale, ma anche nel mondo culturale e giornalistico italiano. Come ha dichiarato il superiore generale del Pime, padre Ferruccio Brambillasca, Gheddo ha contribuito molto alla causa missionaria: non solo come giornalista e storico, ma anche come animatore: ha suscitato, infatti, attraverso i suoi scritti, la vocazione missionaria in molte persone».

Un fatto è certo: Gheddo ha attraversato per decenni, da protagonista, la scena ecclesiale e culturale italiana. Ha compiuto viaggi in un’ottantina di Paesi, scritto un centinaio di volumi e un numero incalcolabile di articoli. Lasciando un segno indelebile in molti.

UNA VITA PER LA MISSIONE
La sua avventura è cominciata quando, giovanissimo, passa dal seminario diocesano di Vercelli al Pime (Pontificio istituto missioni estere), col sogno di partire «per gli estremi confini» e, là, spendere la vita. Ma non andrà così. Sogna l’India di Salgari, ma i suoi superiori gli chiedono di mettersi a disposizione della stampa missionaria. E lui si butta di slancio, con quell’entusiasmo che gli è rimasto addosso sino agli ultimi giorni, nel compito affidatogli. Prende in mano Le missioni cattoliche (da dopo il Concilio Mondo e Missione) e la trasforma in una rivista tra le più apprezzate del mondo missionario, portandola a tirare decine di migliaia di copie. Segue da vicino i lavori del Vaticano II. Collabora, fin da giovane, con l’Osservatore Romano, ma ben presto è richiesto anche da giornali laici.

Nel 1964 – anno in cui, insieme ad altri, fonda l’organizzazione Mani tese – compie il primo viaggio in India. Successivamente incontra a Calcutta Madre Teresa, che contribuirà in modo determinante a far conoscere in tutt’Italia. Ormai è un vero globetrotter della fede. Alcuni suoi reportage negli anni Settanta, specie da Vietnam e Cambogia, diventeranno famosi perché raccontano una verità diversa da quella propagandata dagli inviati accecati dall’ideologia comunista.

Nasce in quel periodo l’etichetta, assurda, di Gheddo «uomo di destra». Chi lo conosce davvero sa che, invece, è stato lui a citare Enrico Berlinguer a proposito del «ritorno all’austerità», lui a tradurre – per primo in Italia – dom Helder Camara, l’allora sconosciuto «vescovo rosso» di Recife, che diverrà uno dei protagonisti del Concilio. Chi ha avuto familiarità con padre Gheddo può testimoniarne inoltre la straordinaria mitezza (per lui non esistevano nemici, al più avversari con i quali discutere, questo sì, anche animatamente!), l’essenzialità proverbiale (la sua cena da anni: una semplice mela) e la povertà, non facile da vivere per uno che tra le mani ha visto passare molti soldi, piovutigli da amici e benefattori.

CON SGUARDO DI SPERANZA
La missione “ad gentes” è rimasta, per tutta la vita, la sua preoccupazione costante. Quasi un’ossessione, per un uomo che Giovanni Paolo II non a caso aveva chiamato al suo fianco per scrivere l’enciclica Redemptoris missio (1990). Un uomo che ha girato il mondo gioendo della fortuna di vedere da vicino nascere «la Chiesa degli Atti degli apostoli», in molte zone dell’Africa e dell’Asia, e lo ha raccontato in pagine commoventi.

Quello sguardo positivo sulla vita, perennemente aperto allo stupore – uno sguardo evangelico, da bambino, lucido ma non ingenuo – padre Gheddo l’ha conservato sino alla fine. In una delle ultime pagine della sua autobiografia Inviato speciale ai confini della fede (Emi 2016) che abbiamo realizzato insieme, scrive: «Noi vediamo tanti fatti, ma non sappiamo giudicarli con il metro dell’eternità, di Dio. La fede autentica ci dice che la storia dell’umanità, come la nostra piccola storia personale e quella millenaria della Chiesa, sono nelle mani di Dio. Ecco perché sono ottimista».

Testo di Gerolamo Fazzini

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