Credere n.6 - 09/02/2014
I giovani cercano Dio. Ascoltiamoli!
A colloquio con il prof più amato dagli adolescenti, autore del best seller “Bianca come il latte, rossa come il sangueâ€.…
Dalla difficoltà germogliano talenti
«Quando mi hanno detto che non avrei più camminato ho protestato. Poi ho capito che tra il mio essere disabile e i frutti…
Il padre della vita ferita
In questi giorni l’urna del beato dei “mutilatini†è giunta a Roma per la Giornata del malato. La lezione ancora attuale…
Tutta colpa di un’amica di famiglia
Nella sua vita non c’era posto per la religione. Poi un’amica di famiglia gli parla di Maria come di una donna vera,…
Il dono di un cammino a due
Oggi il fidanzamento risente del clima di provvisorietà che caratterizza la società . I corsi matrimoniali devono educare…
La Novena alla Vergine di Lourdes
Si recita dal 2 al 10 febbraio ricordando l’apparizione di Maria. È caratterizzata, come la spiritualità di Lourdes,…
La testimonianza di Chiara M
Dalla difficoltà germogliano talenti
«Quando mi hanno detto che non avrei più camminato ho protestato. Poi ho capito che tra il mio essere disabile e i frutti che questo produce c’è un legame misterioso». Così Chiara regala speranza anche a chi crederebbe di non farcela..
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Contro la paura e l’indifferenza - Chiara soffre di una malattia rara da quando aveva 20 anni. Nei suoi libri racconta delle reazioni distaccate che spesso la gente ha nei confronti dei disabili.
E’ difficile, per Chiara M., svuotare la “posta elettronica in arrivoâ€. Si accumulano i messaggi “non letti†di amici fedeli o nuovi lettori, che saranno ormai circa 20 mila nell’arco di 8 anni, dall’uscita del suo primo libro. L’unico cruccio della scrittrice trentina è non arrivare a leggerli con calma per poi rispondere ad uno ad uno. La malattia rara che l’accompagna da quando aveva circa vent’anni – una diagnosi terribile e inesorabile per lei, fresca infermiera all’ospedale di Trento – le concede pochi momenti di tregua per dedicarsi alla corrispondenza. Può essere forse un efficace “rispondi a tuttiâ€, agli amici nuovi e vecchi, il librino intitolato Righe storte che l’editrice San Paolo ha mandato in stampa col sottotitolo Piccoli esercizi di speranza, perché «quest’avventura spirituale davvero unica – ha detto l’editor Natale Benazzi alla prima presentazione – va a toccare la vita di ciascuno, come tutti i grandi libri di spiritualità , ed è in grado di produrre speranza».
Ma perché, Chiara, ancora una riflessione sugli stessi temi, gli ossimori della notte “oscura e luminosissima†e del dolore “crudele e dolcissimoâ€, dei tuoi precedenti volumi tradotti in varie lingue?
«Perché non si finisce mai di raccontare la sofferenza. Arriva spesso come uno tsunami nella nostra vita, ma poi la segna ogni giorno. E così il rapporto con Dio che nel tempo mi fa capire che Lui sa scrivere diritto anche sulle righe storte. Mi ha allenato a comporre il mio spartito su un pentagramma un po’ sbilenco. Un po’ alla volta capisci che c’è sempre un perché in quel che succede».
Prima ci si ribella, però, alle righe storte…
«Certo, la ribellione è normale. Noi siamo fatti per camminare, non per stare seduti. Quando ho capito che sarei stata sulla carrozzina a vita, tutto dentro di me ha protestato. Via via ho capito che tra il mio essere relegata nella condizione di disabilità e i frutti che questo produce c’è un misterioso legame».
Anche altri malati, grazie ai tuoi libri e al dialogo con te, hanno trovato la speranza.
«È tutto merito del Socio (così Chiara M. chiama Dio con amichevole ironia, ndr), ma mi accorgo che, senza volerlo intenzionalmente, posso diventare specchio di tante altre vite e tante altre storie. Posso interpretare un po’ le loro attese perché nell’opinione pubblica c’è ancora troppa ignoranza dei reali bisogni dei disabili, che si traduce in diffidenza, disagio o anche paura».
Nel “manualetto†d’indicazioni concrete per “non avere paura di me†stigmatizzi atteggiamenti di pietismo o di superiorità verso i disabili: come mai?
«Perché vedo ancora che talvolta per autodifesa si ignora la persona “diversaâ€, si parla addirittura non con lei ma di lei con chi per necessità l’accompagna. E così noi ci sentiamo praticamente “invisibiliâ€. Mi capita allora di dover usare una battuta: “Guarda che non mordo…â€, per far cadere l’imbarazzo».
Vale anche per le comunità cristiane?
«Mi arrabbio un po’ quando trovo entrate e confessionali barrierati, porte troppo pesanti o accessi accreditati “per disabili†che però, per essere accessibili, necessitano della presenza di un’altra persona. Ogni comunità dovrebbe pensare a un piccolo intervento concreto per facilitare la nostra presenza all’interno di essa. Mi preme soprattutto che – oltre all’attenzione – sia data più voce ai malati e ai disabili, perché anche loro sono in grado di donare, non solo di ricevere».
Il tuo rapporto con il limite?
«Non è facile, perché fin da piccola ero un tipo autonomo, avevo fatto della libertà la mia bandiera. Ora ho una libertà diversa anche se non sempre scontata: quella di non farmi condizionare comunque dalle mode o dai modi di pensare. Piuttosto sono alla ricerca costante di alternative, di soluzioni magari inventate là per là che però possono dare utili suggerimenti non solo a chi si trova nella mia condizione ma anche a chi può realizzarle. È sempre una sudata conquista ma la soddisfazione di aver fatto anche una cosa minima è impagabile. In questi lunghi anni ho capito anche un’altra cosa». Cosa?
«I confini del termine “limite†siamo noi a darli. Cos’è davvero il limite? Quante volte proprio la presenza di una difficoltà fa scaturire energie insospettabili o talenti meravigliosi ma profondamente nascosti, che, sono convinta, ciascuno di noi ha? Lo considero una specie di “avventura†nell’ignoto. Spesso tremendamente duro ma, in parallelo, anche estremamente stimolante e ricco».
Come far conciliare la realtà dell’umano e del divino che – scrivi – “sta dentro e reclama l’Eterno†?
«Tutto avviene con gradualità , non è mai definitivo. Ci sono picchi di dolore in cui ti manca il respiro e non credi di farcela a reggere a tanta distruzione. Poi luminosità e dolcezza appaiono quando – perdendo tutto – lasci spazio a Lui. Ti fidi a occhi chiusi non perché non ti restano alternative, ma perché nel rapporto che cresce con Lui, lo senti, lo percepisci come Presenza Reale, viva».
Anche da infermiera eri speciale, dicono le tue colleghe, che ti chiamavano “santa Chiara†per la tua dolcezza…
«Lavorare in ospedale è una grande scuola di relazione. Ti alleni a parlare con il personaggio importante e con la vecchietta che viene dalla valle più lontana. Ma con tutti hai il dovere di farti capire, di ascoltare in profondità , d’immedesimarti nella sua condizione».
Cosa significa inguaribile?
«Una cosa è il corpo, l’involucro esterno. Anche se il mio involucro esterno perde forza ed è appunto inguaribile, sento che la mia parte interna invece è nutrita, cresce. È un cammino interiore, che dura mesi o anni, ma che è possibile. Perché l’interno, l’anima, non è malata, resta sana. È la parte più sana che abbiamo anche noi disabili».
Il tuo desiderio oggi? Scrivere un altro libro?
«No, per me il massimo sarebbe tornare a camminare; se potessi farlo, penso che correrei per giorni e giorni su di un prato, in un bosco, su un sentiero di montagna per sentire la forza della libertà venirmi addosso e non mi stuferei».
Testo di Diego Andreatta