N. 7 2014 16 febbraio 2014
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IL GIRO DEL MONDO CON DON BOSCO

Da quattro anni la reliquia del fondatore dei Salesiani sta percorrendo il globo mobilitando migliaia di fedeli che accorrono per pregare. A fare da “angeli custodi” ci sono ventisei volontari cui è affidato il trasporto dell’urna

 La reliquia di don Bosco in viaggio nel mondo

La reliquia di don Bosco in viaggio nel mondo, tappa a Milano. Foto di Matt Corner / Fotogramma.

Da quattro anni ventisei “angeli custodi” stanno girando il mondo con la reliquia della mano destra di don Bosco. Hanno percorso migliaia di chilometri, affrontato 100 voli aerei, 25 tratte in nave, innumerevoli tratte via terra con una carovana di quattro camion, toccando fino a oggi 96 Paesi nei cinque continenti. Tutto questo per regalare al maggior numero possibile di fedeli l’occasione di pregare da vicino il santo educatore, per offrire a tutti l’emozione di sfiorare con una mano la sua immagine, di chiedere un’intercessione.

Sono “angeli custodi” molto terreni: una squadra affiatata di uomini robusti. Si alternano alla guida dei mezzi, caricano e scaricano la teca con la statua giacente del santo che custodisce all’interno la reliquia, non la perdono mai di vista. Ventisei persone di tutte le età, molti di loro pensionati, qualcuno in cerca di lavoro, alcuni giovani. Tutti con famiglie generose, che accettano la loro lontananza per diversi mesi all’anno.

A guidarli e a far funzionare tutto come un orologio svizzero c’è un signore di 61 anni, Roberto Bertoli, che sta lavorando al pellegrinaggio di don Bosco dal lontano 2006: dapprima visitando le sedi diplomatiche, con la collaborazione del Vaticano, per ottenere tutti i permessi, e poi accompagnando l’urna nelle tappe più difficili. Bresciano di Coccaglio, residente a Capriolo, lavora come dirigente per una ditta specializzata in trasporti speciali in tutto il mondo. «L’uomo giusto cui affidare un trasporto “specialissimo” come la teca di don Bosco», deve aver pensato don Pier Luigi Zuffetti, il presidente delle Missioni don Bosco, responsabile dell’organizzazione del pellegrinaggio mondiale partito nel 2009, 150° anniversario di fondazione dei Salesiani, e che si concluderà nel 2015, bicentenario della nascita di san Giovanni.

«Sono cresciuto all’oratorio salesiano di Chiari e mi ricordo ancora adesso i preti che giocavano a calcio con noi ragazzi tirandosi su la tonaca», racconta Bertoli, che da adulto ha vissuto con la moglie Silvana l’esperienza di un periodo di missione in Ecuador e in Burundi. «Oltre dieci anni fa avevo già organizzato il trasporto in Italia e in Libano del corpo di san Domenico Savio e successivamente avevo consegnato le campane donate da Giovanni Paolo II a Cuba». Ma questa volta “il viaggio” da organizzare era davvero impegnativo. «L’idea», spiega, «era raggiungere tutti i Paesi del mondo nei quali sono presenti i Salesiani». Obiettivo che a un anno dalla conclusione è già stato sostanzialmente raggiunto: mancano Svizzera, Lituania, Kosovo, Albania, Malta e piccole isole dell’Oceania, «ma continuano ad arrivare nuove richieste».

Anche i fedeli di Paesi difficili come la Cina, Timor Est e Myanmar (ex Birmania) hanno potuto accogliere don Bosco. Solo in Siria e nel Sudan del Nord il pellegrinaggio non è riuscito a entrare. «La Siria era già stata esclusa dal programma», racconta Bertoli. Storia diversa e più avventurosa invece per il Sudan, Stato islamico: «Khartoum aveva assicurato la propria disponibilità, ma all’ultimo momento il nostro aereo non ha ottenuto il permesso di atterrare».

Roberto Bertoli conserva quattro anni di racconti, uno più interessante dell’altro. Ad Haiti, isola ancora provata dal terremoto, l’urna di don Bosco doveva essere accolta dal presidente, ma questi era in ritardo. «Ci hanno fatto volare in tondo per mezz’ora, finché il capo dello Stato non è arrivato all’aeroporto». Il passaggio della frontiera tra Messico e Stati Uniti invece era fissato per l’11 settembre del 2010: «Rischiavamo di aspettare ore perché nell’anniversario dell’attentato alle Torri gemelle i controlli alla dogana sarebbero stati rigidissimi. Invece tutto andò liscio. I doganieri, però, chiesero tutti di poter salire sul camion: volevano toccare l’urna e dire una preghiera…». O ancora le lunghissime trasferte in India, dove il pellegrinaggio è durato sette mesi, le folle erano immense: «Una volta la polizia ci fece entrare nella chiesa di destinazione con il camion, perché era impossibile scaricare la reliquia per la troppa folla accalcata all’esterno». In India si parla anche di una guarigione inspiegabile per una giovane delle scuole salesiane, ma don Zuffetti è cauto: «Troppo presto per parlare di miracolo».

Il gruppo ha subìto anche un grave lutto: Carlo, il più anziano, è scomparso nel dicembre del 2012, pochi giorni prima di compiere 63 anni. «Aveva il desiderio di percorrere i cinque continenti con don Bosco e ci è riuscito proprio poco prima di ammalarsi».

Tutte le persone coinvolte nel trasporto stanno vivendo un’intensa esperienza anche dal punto di vista spirituale. «Quando arrivi nei Paesi poveri ti colpisce la grande fede della gente che si accalca intorno a don Bosco. Molti di loro gli devono quello che sono: grazie alle missioni salesiane hanno imparato un mestiere che permette loro di vivere», dice Roberto. Che confida: «Io stesso ho avuto momenti di sconforto a causa di esperienze negative con alcuni sacerdoti: ma tutto questo mi ha riconciliato».

Testo di Paolo Rappellino

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