N. 8 2014 23 febbraio 2014
Eliseo Rusconi

Porto i pellegrini a Medjugorje, ma la Madonna non è un business

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Eliseo Rusconi

Porto i pellegrini a Medjugorje, ma la Madonna non è un business

Nel 1984 il primo viaggio verso il santuario mariano. Un’esperienza spirituale intensa da cui nasce la chiamata a organizzare visite. Da allora con “Pellegrinaggi Rusconi” sono partiti 300 mila fedeli...

lavora con il cuore Eliseo Rusconi, 72 anni, è sposato da 45 anni con Stefania. Hanno tre figli: Ettore, Sara e Francesco (nella foto). La sua agenzia di viaggio dà lavoro a 30 persone

Lavora con il cuore - Eliseo Rusconi, 72 anni, è sposato da 45 anni con Stefania. Hanno tre figli: Ettore, Sara e Francesco (nella foto). La sua agenzia di viaggio dà lavoro a 30 persone Foto di Ugo Zamborlini.

Eliseo Rusconi ha legato a Medjugorje il suo nome e quello della sua agenzia di viaggi. Nell’arco di trent’anni esatti, infatti, ha accompagnato – in quella che inizialmente era una località sconosciuta e oggi è uno dei centri mariani più noti al mondo – la bellezza di trecentomila pellegrini. Racconta, con una punta di pudore: «Da quando a Medjugorje ho vissuto, nel febbraio 1984, un’intensa esperienza spirituale, la mia vita è cambiata profondamente».Settantadue anni ben portati, elegante nei suoi completi un po’ démodé, questo signore alto e magro è sposato da 45 anni con Stefania, ha tre figli e guida una realtà imprenditoriale, con base a Lecco, che dà lavoro a 30 persone. Rusconi ha scelto Credere per condividere la sua storia, gelosamente custodita sin qui.

Cominciamo dall’inizio…

«Nel gennaio 1984 si presenta in agenzia una persona chiedendomi di organizzare un viaggio a Medjugorje. “Quanti siete?”, chiedo. “Per ora sono solo, ma se la Madonna vuole, altre persone si iscriveranno”. Ribatto: occorre un minimo di 40 persone. E lui, serafico: “Se la Madonna vuole… il viaggio si farà”. Mettetevi nei miei panni: a una piccola agenzia, sorta da poco, viene chiesto di investire tempo e soldi su una meta sconosciuta, con un “gruppo fantasma”… Nel dicembre dell’anno prima avevo organizzato il primissimo viaggio per quella allora sconosciuta località (nemmeno si trovava sugli atlanti!). Mi avevano riferito di strade pessime, alloggi per nulla confortevoli... Quanto alle voci di apparizioni mariane a un gruppo di ragazzi, ero a dir poco scettico. Decido, quindi, di stare a guardare. Nel frattempo, senza fare pubblicità, qualcuno comincia a chiedere informazioni. Finché, contro ogni logica, decido di prenotare il pullman e organizzo i pernottamenti. A metà febbraio, oltre 40 persone, che tra loro non si conoscevano, avevano aderito alla proposta».

Sorpreso?

«Beh, certo. Pochi giorni prima della partenza decido di aggregarmi al gruppo. Una follia: significava lasciare l’agenzia “scoperta” per 5 giorni, c’era con me solo una nipote come segretaria part-time».

Ne valse la pena?

«Fu un viaggio massacrante, con ritardi pazzeschi sulla tabella di marcia. L’alloggio? Squallido e gelido. Quando, finalmente, entriamo nella chiesa di san Giacomo a Medjugorje non c’è anima viva. Sconfortato, inizio a pregare. Via via perdo coscienza del tempo che passa. Mi scorre davanti tutta la vita, come un film: rivedo mia moglie, la nascita dei miei tre figli… Mi accorgo che sto piangendo. E, dentro di me, sento una voce che dice: “Tu devi portare in questo luogo più persone che puoi”. Fu un’esperienza spirituale intensissima, indescrivibile e indimenticabile. Nei giorni seguenti sento dentro di me costantemente quella voce: “Tu dovrai portare qui molte persone”. “A far cosa?”, replicava la parte razionale di me: non c’è nulla da vedere, la chiesa non è certo un tesoro dell’arte, mancano le strutture per l’accoglienza. Impensabile!».

Eppure…

«In quel luogo così sperduto avvertivo un’atmosfera speciale. Anche altri componenti del gruppo mi confidarono di aver avuto “segni” particolari. In breve: al termine di quel viaggio ebbi dentro di me la certezza che davvero la Madonna appariva a Medjugorje a quei ragazzi e che aveva da dare un messaggio a coloro che l’invocavano».

Sul piano personale, quali frutti spirituali le portò quel viaggio?

«Il primo: l’importanza della preghiera. Mi dissi che avrei dovuto, da lì in avanti, pregare di più e in modo diverso. Il secondo: l’accettazione della propria croce, non con rassegnazione fatalistica, ma abbracciandola come fa Cristo. Nel viaggio di ritorno accadde un altro fatto memorabile. Ci fermammo in Autogrill per celebrare la Messa in pullman. Al termine, il sacerdote che aveva guidato il pellegrinaggio disse: “E ora benediciamo la valigetta di Eliseo (che era servita da altare): lui non lo sa ancora, ma con questa andrà molte volte a Medjugorje, ci porterà tanta gente e farà molti affari».

Perdoni, ma questo sa un po’ di auto-pubblicità.

«Io per primo restai ammutolito, perché della mia esperienza spirituale non avevo fatto cenno a nessuno. Quanto agli affari: è indiscutibile che per me e la mia agenzia Medjugorje è diventata anche un business. Ma non ho mai voluto “sfruttare” la Madonna per i miei interessi. Quando, a vent’anni da quei fatti, la devozione per la Madonna di Medjugorje si era ormai consolidata, ci fu chi mi offrì di comprare terreni a poco prezzo per farne alberghi. Avrei potuto realizzare guadagni pazzeschi, ma non era quello che mi aveva chiesto la Madonna. Oggi a Medjugorje ci sono strutture alberghiere extra lusso: mi offrono interessanti accordi commerciali, ma io lì non ci mando i miei pellegrini! Anzi: negli alberghi dove alloggiano i miei clienti faccio togliere la televisione in camera per mantenere un clima spirituale intenso».

Cosa accadde una volta rientrati da quel viaggio dell’84?

«Chiesi innanzitutto al Signore di illuminarmi. Così, insieme ad alcuni amici, costituimmo a Lecco un “gruppo di preghiera” che ancora oggi si ritrova, ogni ultimo lunedì del mese, nel santuario Nostra Signora della Vittoria, in centro città. Quanto ai viaggi, ne organizzai un altro a Medjugorje per la Pasqua di quell’anno. E siccome la Madonna a Medjugorje non aveva chiesto di costruire una cappella, ma di valorizzare la parrocchia, mi premurai che, da lì in avanti, nei miei viaggi ci fosse sempre, accanto all’accompagnatore “tecnico”, la guida spirituale di un sacerdote o di un religioso. Nel 1985 iniziarono anche i voli aerei su Mostar (allora piccolo aeroporto militare) e, via via, la fama del luogo crebbe e, con essa, il flusso di pellegrini. Al punto che, trent’anni dopo, il Comune di Mostar mi ha assegnato un riconoscimento per aver contribuito a sviluppare l’economia del posto».

Non sono mancati i momenti difficili, però. Cosa accadde durante la guerra nell’ex Jugoslavia?

«Sul più bello, quando ormai a Medjugorje le strutture di ospitalità stavano crescendo di numero e migliorando in qualità, arriva, agli inizi degli anni Novanta, la “bomba” del conflitto. C’era il rischio di una battuta d’arresto che si sarebbe potuta rivelare fatale. Grazie a Dio non è andata così: alcuni viaggi – che alla motivazione spirituale abbinavano quella umanitaria (portavamo alimenti e aiuti alla popolazione in guerra) – sono continuati anche nel periodo più duro. È stata una grande prova, anche per la mia fede».

A distanza di anni cosa pensa di Medjugorje, delle polemiche su quel luogo e della prudenza della Chiesa?

«Nel corso degli anni personalmente ho assistito a migliaia di conversioni, a molte guarigioni sia fisiche che spirituali, alla nascita di moltissime vocazioni, alla formazione di molte comunità che stanno crescendo ispirandosi alla spiritualità di Medjugorje. La Chiesa fa bene a essere prudente, com’è nella sua tradizione. Personalmente sono convinto che, partendo da sei ragazzini e una chiesina sperduta in mezzo a un prato, in uno Stato ateo, abitato da gente semplice ma di fede autentica, Maria stia attuando nel mondo una trasformazione spirituale straordinaria».

Medjugorje è una meta sempre più battuta. Anche voi risentite della crisi?

«Abbiamo accusato una flessione, ma ho cercato di salvaguardare i posti di lavoro: dietro ogni dipendente c’è una persona».

Testo di Gerolamo Fazzini

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