L’invito di Gesù: venite in un luogo deserto e riposatevi un po’
Papa Francesco, che sta vivendo ad Ariccia una settimana di esercizi spirituali, ci dà l’esempio perché sappiamo ricavarci…
Il monaco che porta Gesù nelle aziende
Camaldolese dell’eremo di Monte Giove, propone corsi di spiritual coaching: «Il mio obiettivo non è convertire, ma la gente…
Il grande dono della diversità
Il parroco di Baranzate, periferia milanese, guida una delle realtà più multietniche d’Italia: «In oratorio giocano cristiani…
Un oratorio al passo con i tempi: ecco le mie regole
A Schio, in provincia di Vicenza, un sacerdote salesiano ha fatto rifiorire un oratorio, che ora è diventato una risorsa…
Il grande abbraccio del bello
Da San Carlino alle Quattro Fontane a Sant’Agnese in Agone, la capitale è profondamente segnata dalle opere del geniale artista…
Il primato italiano delle professioni “collegiali”
Siamo un popolo che interviene nella correzione dei lavori altrui, soprattutto di alcuni. Come quello dei docenti
Ite, missa est di Emanuele Fant
Il primato italiano delle professioni “collegiali”
Siamo un popolo che interviene nella correzione dei lavori altrui, soprattutto di alcuni. Come quello dei docenti
A me non verrebbe mai in mente di andare dal fornaio e suggerirgli un tempo diverso per la lievitazione del pane perché l’ho sentito a Bake Off. Tantomeno ho mai consigliato al mio parrucchiere il tipo di forbice da usare, mi limito semmai ad indicare l’effetto complessivo che voglio ottenere con il nuovo taglio.
Esistono invece mestieri che definirei “collegiali”: gli italiani non sopportano che si svolgano da soli, ritengono sia un dovere collettivo intervenire, come se il professionista del settore soffrisse di una continua solitudine.
Al terzo posto c’è il medico: è prassi, ormai accreditata dai migliori ospedali, l’abitudine a cercare i propri sintomi su Google, per poi rivolgersi al dottore che aggiungerà modestamente il suo parere all’autodiagnosi.
Al secondo posto c’è l’allenatore: i bar della penisola, il lunedì mattina, sono una panchina diffusa. Tra un cappuccino e un cornetto, si chiarisce cosa non stava in piedi nella formazione del giorno prima e si stabilisce la punizione adatta al centravanti che pensa solo alla Velina.
La prima posizione è saldamente nelle mani del professore: tutti sanno sempre, esattamente, cosa deve fare. Non esiste un genitore che non abbia ipotizzato una didattica migliore per suo figlio. I gruppi WhatsApp sono inesausti laboratori di soluzioni pedagogiche innovative. Le assemblee di classe a volte sembrano processi dove chi è seduto in cattedra sembra l’unico chiamato a imparare: «Professore, non crede che dovrebbero fare più temi?», «Siamo sicuri che questa gita cada nel momento migliore?», «Perché non mettete gli armadietti come nei licei americani?».
Com’è difficile affidare un figlio a una persona che non siamo. Come è complesso non spiare mentre si compie il rito inaccessibile della sua formazione. Ma è pure essenziale riconoscergli il diritto di subire un’ingiustizia, una lezione fatta male, lo scontro con un professore impreparato. Anche questa è educazione. Anche il coraggio di saperlo abbandonare.
Illustrazione di Emanuele Fucecchi