N. 9 - 2018 4 marzo 2018
INSIEME di don Antonio Rizzolo

24 ore per il Signore, una bella occasione per riconciliarci con Dio e con i fratelli

Il sussidio pastorale offre, oltre ai testi per pregare e prepararsi al sacramento della confessione, anche tante testimonianze…

Monsignor Matteo Zuppi

50 anni dalla parte degli ultimi

«La Chiesa è di tutti, particolarmente dei poveri, e quindi dobbiamo stare vicino a loro». L’ha imparato con la Comunità…

Piccola famiglia dell’Esodo

L’eremo dove i migranti sono di casa

Tra i boschi della Sila un monastero di eremiti – tre suore e un prete – apre le porte ai più bisognosi, compresi 24 africani.…

Paolo Falessi

Con la musica superiamo i pregiudizi

Quasi 30 anni di carriera e migliaia di concerti per i Ladri di carrozzelle, band di artisti con disabilità: «Il pietismo…

Davide Della Giovanna

Mi piace la Chiesa che sa parlare alla vita

Secondo il 19enne animatore di un oratorio milanese, le Messe sono troppo formali e servirebbe più confronto sulla parola…

Abbazia di Santa Croce in Sassovivo – Foligno

Nel silenzio faccia a faccia con Dio

L’antico complesso benedettino dal 1969 è affidato ai Piccoli fratelli di Charles de Foucauld, che accolgono i fedeli in…

Ite, missa est di Enzo Romeo

Prestiamo le nostre mani al crocifisso per accarezzare l’uomo

Le raffigurazioni di Cristo in croce sono immagine di Dio che assume su di sé i dolori del mondo. Anche noi siamo chiamati…

Per una lettura completa...

Ite, missa est di Enzo Romeo

Prestiamo le nostre mani al crocifisso per accarezzare l’uomo

Le raffigurazioni di Cristo in croce sono immagine di Dio che assume su di sé i dolori del mondo. Anche noi siamo chiamati a lenire le ferite dei fratelli sofferenti

Ite missa est. Illustrazione di Emanuele Fucecchi

Nella basilica di Saint-Julien de Brioude, nell’Alta Loira francese, c’è un’immagine del Cristo in croce che risale alla fine del XVI secolo. Fu scolpita in legno policromo, a grandezza più che naturale, per l’antico lebbrosario medievale. Lo chiamano il Cristo lebbroso, perché sulla pelle ha le tipiche alterazioni che provoca il morbo di Hansen.

È l’apice della solidarietà: il Salvatore prende le sembianze dei più reietti tra i malati, gli ultimi tra gli ultimi. Secondo una leggenda, un lebbroso si sarebbe steso su questa croce pregando per la propria guarigione e condensando così la sua malattia nell’immagine lignea. Sul volto emaciato c’è l’angoscia oscura dell’amore lacerato; i piedi e le mani tetanizzati sono fissati al palo dai chiodi piantati dall’umanità che lui ha pure curato senza risparmio.

Anche a Issenheim, in Alsazia, la pala d’altare dipinta da Matthias Grünewald presenta Gesù in croce con le piaghe del “fuoco di Sant’Antonio”. Il committente dell’opera, l’abate antoniano Guido Guersi, voleva che i suoi monaci e i tanti malati di herpes zoster accolti nel monastero contemplassero le proprie piaghe in quelle del Signore. Egli ci ama spingendosi fino al limite estremo delle nostre infermità e rompe la legge antica del Levitico, che condannava all’esclusione e all’isolamento. Per questo il lebbroso del Vangelo di Marco osa accostarsi al Maestro e urla a gran voce: «Se tu vuoi, puoi purificarmi!».

Quel crocefisso siamo noi, è lì che si fissano i dolori, lì si raccolgono le ulcere, lì si rinnovano le speranze, nell’incrocio tra terra e cielo, tra orizzonte e vertice. Recita una preghiera trecentesca fiamminga: «Cristo non ha labbra, ha soltanto le nostre labbra per narrare di sé; non ha mezzi, ha soltanto il nostro aiuto per raggiungere gli uomini. Noi siamo l’unica Bibbia che i popoli leggono ancora, siamo l’ultimo messaggio di Dio scritto in opere e parole». Se Cristo ha le mani inchiodate, prestiamogli le nostre perché possa dare una carezza al mondo.

Illustrazione di Emanuele Fucecchi

Archivio

Vai