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Piccola famiglia dell’Esodo
L’eremo dove i migranti sono di casa
Tra i boschi della Sila un monastero di eremiti – tre suore e un prete – apre le porte ai più bisognosi, compresi 24 africani. Senza rinunciare al silenzio e alla solitudine
Le grida dei ragazzi che giocano a calcio arrivano fino alla cucina dove suor Benedetta sta preparando il pranzo. «Si sono costruiti un campo qui vicino e hanno consumato non so quanti palloni. Doveva sentirli durante le partite della Coppa d’Africa: è stato davvero faticoso mantenere il silenzio mentre loro ridevano e ballavano». Di risate e canti se ne sentono parecchie dentro e fuori le mura della Piccola famiglia dell’Esodo, una delle poche comunità eremitiche della Calabria, dove la preghiera e la solitudine convivono con l’accoglienza.
Costruito a 1.000 metri tra i boschi della Sila, comune di Decollatura, in provincia di Catanzaro, il monastero è un luogo di pace e vita contemplativa dove le porte sono sempre aperte per chiunque voglia ritrovare un rapporto con Dio, primi fra tutti gli ultimi. «Condividiamo il cammino di tutti i giorni con chi è lasciato ai margini della società e, a volte, non trova conforto nemmeno tra le strutture ufficiali della Chiesa, perché solo se siamo popolo possiamo rimanere davanti a Dio, quando mangiamo da soli e preghiamo nelle nostre celle, come persone che hanno bisogno di lui per vivere», spiega suor Benedetta.
VENDI TUTTO QUELLO CHE HAI
La storia di questa donna è un lungo cammino votato a Dio e ai fratelli più sfortunati incominciato da giovanissima nelle Marche, come monaca, ma interrotto presto per motivi di salute. Dopo essere stata dispensata dai voti per curarsi, suor Benedetta compie un lungo periodo di discernimento interiore vivendo nel mondo e lavorando molti anni come pedagogista per adulti nelle carceri di massima sicurezza. «Ma l’assillo della mia mente era la parola di Gesù: “Vendi tutto, poi vieni e seguimi”. Grazie al supporto del vescovo di Ancona, ho lasciato tutte le mie sicurezze e mi sono trasferita in una vecchia stalla insieme a un’altra suora e un sacerdote della diocesi, padre Benedetto». Così come oggi, anche allora in quella prima, misera, casa senza nemmeno l’acqua potabile, la gran parte della notte era dedicata alla preghiera e alla solitudine, compresi i pasti consumati da soli; con il giorno del sabato dedicato al deserto. Di giorno invece si lavorava «perché secondo la nostra forma di vita, approvata dal vescovo ad experimentum, dovevamo mantenerci solo del nostro lavoro». Dalla correzione di bozze di libri alla digitalizzazione di testi, fino alle miniature medievali e ai prodotti dell’orto certificati bio.
IL CARISMA DELL’ACCOGLIENZA
Vivere la precarietà e l’accoglienza degli ultimi diventano subito parte del carisma che, come nuova linfa, arricchisce ogni giorno la Piccola Famiglia a cui si uniscono suor Aurora, addetta agli animali e alla cucina, e suor Letizia, interprete.
«Quelli che fino a papa Francesco si sentivano allontanati dalle stesse gerarchie ecclesiastiche, come gli omosessuali, i divorziati risposati o le donne che avevano abortito, venivano da noi per riavvicinarsi a Dio. Sono persone molto sofferenti e hanno bisogno di conforto, di essere ascoltate. Ma non è possibile ascoltare veramente gli altri se alle spalle non ci sono silenzio, solitudine e preghiera. Se non impariamo a mettere a tacere noi stessi, è molto difficile sentire quello che il Signore ci dice», spiega suor Benedetta guardando fuori dalla finestra e osservando le nuvole che sembrano avvicinare ancora di più il cielo a questa terra, in cui li ha chiamati il vescovo di Lamezia Terme nel 2004.
UN VILLAGGIO PER I MIGRANTI
Nemmeno l’arrivo dei migranti è riuscito a mettere in crisi la routine dell’eremo. Da un anno e mezzo, infatti, parte della struttura è diventata un centro di accoglienza straordinaria dove 24 giovani, dai 16 ai 32 anni, provenienti da vari Paesi dell’Africa subsahariana vivono, lavorano, pregano e aspettano che la burocrazia faccia il suo corso, cioè che venga loro riconosciuto lo status di rifugiato o la protezione umanitaria. «Sanno di poterci trovare nei momenti dedicati all’ascolto», dice padre Benedetto, «ma a differenza di altri ospiti che necessitano di un bisogno temporaneo, loro chiedono attenzione a livello affettivo e vivere insieme li fa sentire come in un piccolo villaggio».
C’è chi ha visto uccidere la propria famiglia da Boko Haram per essere arruolato ed è poi riuscito a fuggire, attraversando l’Algeria a piedi e finendo in prigione in Libia; chi invece è arrivato in Italia con la moglie incinta dal Camerun e, seppur separato allo sbarco, ha fatto in tempo a riabbracciarla e veder nascere suo figlio, chiamato simbolicamente Libero. E poi c’è Aruna, 19 anni appena, proveniente dal Burkina Faso. Lui il mare non l’aveva mai visto e, quando la barca su cui viaggia viene scossa da una tempesta, inizia a urlare dalla paura. Gli scafisti allora gli legano mani e piedi e lo gettano nella stiva. All’arrivo in Italia i medici non si accorgono subito della gravità delle sue ferite. Sarà padre Benedetto a portarlo d’urgenza all’ospedale con gli arti ormai in cancrena. Operato d’urgenza, ha perso i piedi e tutte le dita delle mani, ma non il suo sogno: diventare meccanico di moto.
Grazie alla solidarietà di molte persone, Aruna riceverà prima di Pasqua le protesi definitive per camminare, mentre per le mani la situazione è più complicata. «Paradossalmente senza i palmi sarebbe stato più facile intervenire con la nervatura del polso. Ma non ci scoraggiamo e nei prossimi giorni andremo a Budrio, in Emilia, dove c’è un noto Centro protesi dell’Inail, per sentire altri esperti», dice fiducioso padre Benedetto. Nonostante la sofferenza, il sorriso di Aruna è un inno alla vita che non ha bisogno di parole.
COSTRUIRE FIDUCIA
Lo spirito di apertura, a chiunque e comunque, ha permesso alla Piccola Famiglia di accogliere tante persone, facendo sentire questi ragazzi degli esseri umani e non solo dei numeri. Come in ogni famiglia ci sono delle regole da rispettare, come farsi la doccia tutti i giorni ed essere educati. Piccoli gesti che però possono far cambiare anche il giudizio più severo, spiega padre Benedetto: «Qui vicino c’è uno dei pochi paesi della Calabria che ha rifiutato di accogliere i migranti, ma grazie all’atteggiamento rispettoso dei nostri ragazzi si sono tutti ricreduti e addirittura due migranti giocano nella squadra di calcio della Garibaldina».
SOS PER ARUNA
Chi volesse contribuire alle spese per le protesi di Aruna può fare un versamento sul ccp 71662753 intestato a: Piccola Famiglia dell’Esodo Onlus. Causale: amici di Aruna.
Testo di Gioia Reffo