Espressioni colorite: se n’è parlato pubblicamente e il termine è riduttivo e benevolo, quando invece si tratta di “parolacce”, avrebbero detto le nostre nonne. La politica ci ha abituato, ma non da ora, né vale ripararsi col «ma era dietro le quinte», perché nell’era della comunicazione globale tutto è pubblico, captato, di uso. Ciascuno si faccia carico dunque delle conseguenze, o delle scelte, dato che esagerare
pare pianificato per attirare l’attenzione e toccare la pancia degli elettori. Non capita solo da noi, basta dare un’occhiata alle sedute del glorioso parlamento inglese, culla della democrazia moderna, dove oltre le parole volano spesso le sedie e i ceffoni. Spiace un po’, a chi guarda alle istituzioni con rispetto e residua fiducia (quella che le istituzioni ci chiedono, tra l’altro) vedere chi ci governa sboccare in insulti di varia creatività. Ma capita non da ora e il moralismo scandalizzato di solito vale per le parti avverse, mentre giustifica i sodali. Quanto al Papa, per non essere reticenti, ci torniamo su, dato che ha toccato molte coscienze e ha oscurato la sua immagine, e distratto a questioni e interventi ben più rilevanti. Parlava ai confratelli e poneva un tema. Il termine, brutto, che ha usato e che ha fatto il giro del mondo, è scritto sulle porte dei bagni di tante scuole dai nostri figli e nipoti. Come siamo finti, alzi la mano chi non l’ha mai pronunciata, al di là delle differenze dialettali, o non abbia ridacchiato ascoltandola. Conta lo sguardo alle
persone, mentre ci fossilizziamo sulla forma ma siamo pronti a giudicarle e lasciarle sole. Quindi, è un appellativo sdoganato? No, è offensivo per la sensibilità attuale, Sordi ci scherzava su e non solo lui. E il Papa per fortuna ha altri riferimenti che il politically correct attuale. Ma guardare il dito senza la luna che indica è mistificatorio o miope. La sostanza è una ed è sempre la stessa: non è bene che in un seminario
dove i futuri sacerdoti sono chiamati alla castità accedano omosessuali dichiarati, che verrebbero a trovarsi
in un contesto tutto maschile. Ma soprattutto non è bene che l’identità di una persona, tanto più se vuole accedere al sacerdozio, si fondi solo su quella sessuale. Siamo anche altro, di più. Poi, se si desidera, si chiede più o meno apertamente, se si briga perché l’omosessualità sia considerata alla stregua dell’eterosessualità, perché la castità non sia più richiesta ai chierici e quindi siano considerati leciti i rapporti d’amore e sessuali con uomini e donne indifferentemente, è un altro discorso. E forse la sottolineatura, lo sdegno esagerato per la “parolaccia” servivano proprio a questo, a indirizzare, forzare, muovere a passi indietro su una strada che il Papa ha sempre percorso limpidamente, ben cosciente
degli argini e degli ostacoli. Le parole hanno un peso e tocca stare attenti, ma enfatizzarle, lanciarle come pietre è una strategia. Può far comodo a chi vuol male al Papa e a chi vuol dividere la Chiesa, non è detto da
una parte sola.