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lunedì 11 agosto 2025
 
 
Credere

Le grandi interviste per il Giubileo Lo spirito mi ha mostrato la via della speranza

27/06/2024  Gemma Capra, vedova del commissario Calabresi, ci confida come ha ricevuto la forza di perdonare. «Nella realtà tanti segni mi indicavano la strada che Dio desiderava»

di Gerolamo Fazzini

foto di Giovanni Panizza

 

Come si fa a sperare quando a 25 anni ti uccidono brutalmente il marito, lasciandoti vedova con due figli piccoli e uno in grembo? Dove si attinge la forza per rialzarsi? L’abbiamo chiesto a Gemma Capra, moglie del commissario Luigi Calabresi, freddato da un commando di Lotta Continua il 17 maggio 1972. Una donna straordinaria che, grazie alla fede, ha trovato le ragioni per perdonare e guardare al futuro con speranza, nonostante tutto.

Gemma, quel fatidico 17 maggio 1972 è stato il momento in cui la disperazione avrebbe potuto prevalere?

«La mattina in cui hanno ucciso Gigi, ricordo di essermi accasciata sul divano con un dolore lacerante, una sensazione di vuoto e di abbandono. Pensavo: “Ora più niente ha senso”. Ma lì, sul divano, improvvisamente ho percepito una grande pace interiore, una forza sorprendente. E mi sono detta: io e i bambini ce la faremo. In quel momento ho provato un’assurda pace».

Perché “assurda”?

«Potevo io, da sola, in quel momento di totale disperazione, rabbia e dolore, provare pace? Ricordo di aver persino detto a don Sandro, il mio parroco, che mi teneva la mano: “Recitiamo un’Ave Maria per la famiglia dell’assassino che avrà un dolore molto più grande del mio”. Non poteva essere farina del mio sacco. Era Qualcuno che mi stava indicando la strada. Io, quella mattina, posso dire di aver ricevuto da Dio il dono della fede».

Lei spesso ricorda che a darle speranza sono stati alcuni “segni”…

«È così. Proprio nel momento del dolore, ho scoperto i segni. Il primo mi è stato dato in Tribunale. Durante una pausa del processo per l’assassinio di mio marito, vedo uno degli imputati andare un fondo all’aula e abbracciare teneramente il figlio. Ho pensato: è un buon padre, io avrei fatto lo stesso. Per la prima volta ho visto quell’uomo, che aveva ammazzato mio marito, con occhi diversi. In quel modo ho ridato a lui e ai suoi compagni la loro dignità di persone; ho fatto il contrario dei terroristi, i qali disumanizzavano i loro bersagli, trasformandoli da persone in simboli, come è accaduto per Gigi».

 

Leggi l’intervista completa a Gemma Capra Calabresi sul numero di Credere in distribuzione nelle edicole e nelle librerie religiose da giovedì 27 giugno e nelle parrocchie da domenica 30 giugno. Oppure acquista una copia digitale www.edicolasanpaolo.it/scheda/credere.aspx

Questo articolo è una collaborazione con la rivista Credere

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