Credere n.13 - 30/03/2014
Un esame di coscienza per radio, tv (e giornali)
Cari amici lettori, papa Francesco continua a scuoterci dal torpore di una vita cristiana stanca e superficiale...
Il coraggio di sperare
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Stefania Grasso
Il coraggio di sperare
Quando suo padre è stato assassinato Stefania aveva 19 anni. Oggi è impegnata con Libera contro le mafie ed è stata proprio lei a salutare il Papa all’inizio della veglia: «Legga nei nostri occhi il dolore della perdita di un padre o di un figlio, ma anche del loro coraggio».
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Alla guida di Libera - Stefania Grasso, 44 anni, è impiegata. Ha trasformato il dolore in servizio: capo scout in Agesci, è vice presidente di Libera. Foto di Marta Sarlo/Contrasto.Â
«Il Papa ci ha indicato la via della speranza, e la speranza per i cristiani è una promessa, la promessa che davvero cambiare è possibile». Quando suo padre, Vincenzo Grasso, è stato ucciso dalla criminalità , Stefania aveva 19 anni. Era il 1989 a Locri, in provincia di Reggio Calabria, e lei, studentessa al primo anno di università , avrebbe potuto cedere al ricatto dell’amarezza. Invece ha trasformato il dolore in impegno e oggi è referente nazionale di Libera, l’associazione contro le mafie promossa da don Luigi Ciotti.
Suo padre è stato ucciso esattamente 25 anni fa. Cosa è successo, in quel momento, nella sua vita?
«Subito, come spesso fa chi sente di aver subìto un torto, ho chiesto a Dio il perché: “Perché, se sei buono, fai succedere cose tremende?â€. La mia fede ha vacillato. Nessuno ha mai promesso vita facile ai credenti, ma a 19 anni la perdita violenta del padre è dura da accettare... Dio però ci dà la garanzia di poter affrontare tutto ciò che succede, così ho cominciato un percorso, chiedendo al Signore di darmi forza. Mi hanno aiutata molto la mia famiglia e i miei cugini».
Il dramma avrebbe potuto spezzare la sua vita e quella dei suoi familiari: dove avete trovato il coraggio di non lasciarvi andare?
«Mio padre era un grande amante della vita, la vita intesa come dono di Dio. Era un uomo semplice, ci ha insegnato il rispetto dell’altro, l’andare oltre le cose cattive. Inizialmente il dolore ti fa vedere solo il male, poi però ricominci a scorgere le gioie che Dio dona. La mia famiglia è rimasta unita, vicina nella fede, e questa cosa mi ha salvata».
In che modo l’essere credente l’ha aiutata?
«Mi ha spinta a continuare a sperare. Se vado avanti non è merito mio, è un dono di Dio, che è ragione della mia speranza. Da quando sono referente di Libera ho conosciuto tante persone distrutte dal dolore. La fede fa la differenza: sia la fede personale sia quella di chi ti è vicino e riesce a prendersi cura delle tue fragilità ».
Come si affronta un dolore così grande?
«Se lo lasci nel cuore ti abbrutisce. Se invece lo vivi, le cose cambiano. Io ancora oggi piango per mio padre, non mi vergogno di dirlo, e spessissimo penso a quante cose belle della vita si è perso».
Il processo per l’omicidio Grasso è stato archiviato. È possibile superare l’amarezza?
«L’amarezza ti attraversa sempre, non è possibile accettare che una persona possa compiere un gesto efferato come un omicidio... Ci pensi e ci ripensi, e non riesci a dare una spiegazione. Chi commette questi reati vuole eliminare una vita e spezzare quella dei familiari. Se smetti di vivere anche tu, ai criminali dai un ulteriore potere, quello di distruggere tante vite: se ti fai conquistare dall’amarezza vincono loro».
Cosa significa per lei “riconciliazione�
«La riconciliazione per me è una cosa inspiegabile: un giorno ti svegli e, dopo tanto tempo, apri gli occhi e dici :“Grazie, Dioâ€. Nel mio caso la riconciliazione è avvenuta senza rendermene conto».
Non c’è stato un momento particolare in cui si è sentita in pace?
«Sì, ad esempio quando sono nati i miei nipoti: Vincenzo, che porta il nome di mio padre, e Gabriele. Saranno i testimoni di quello che mio padre ha fatto, in loro vedo continuità e futuro. Mio padre mi incoraggiava ricordandomi che “il sole sorge ogni giornoâ€... Sento che con Vincenzo e Gabriele il suo sacrificio acquista un valore forte».
Cosa vorrebbe che ricordassero di loro nonno?
«Mio padre diceva sempre: “Io scelgo di comportarmi bene perché è l’unico modo che conosco per essere feliceâ€. Vorrei che questo messaggio lo tenessero sempre a mente». Nella sua esperienza qual è il rapporto fra dolore e speranza?
«Il dolore è traumatico, violento, non ti abbandona, accompagna il tuo essere anche nella speranza. Davanti al dolore la cosa più facile da fare è chiudersi in se stessi. Invece la speranza nasce dalla rielaborazione, e la speranza del cambiamento porta all’impegno. Questo passaggio comunque non fa superare il dolore».
Quali preghiere accompagnano le sue giornate?
«Ogni mattina penso che me ne vorrei andare da Locri. Poi mi dico di no, voglio restare. Così prego di essere libera di restare dove ho le radici: restare dove vivo e dove cerco di mettere in pratica il cambiamento, è questa la mia preghiera».
v Come ha conosciuto Libera?
«Tramite una lettera: all’inizio del suo impegno contro le mafie don Luigi Ciotti ha cercato personalmente tutti i familiari delle vittime, esprimendo vicinanza a ciascuno di noi. Mia madre ha preso parte alle Giornate della memoria e dell’impegno (vedi box qui a lato) fin dalle primissime edizioni e così anche io ho iniziato a partecipare. Don Ciotti mi ha dato coraggio, il coraggio di cambiare innanzitutto me stessa. Ogni giorno ci sprona a vedere sempre il bene, chiedendoci di non guardare ciò che non va. “Gli altri risponderanno delle loro azioni, noi di noi stessiâ€, dice sempre don Luigi. Per me è un esempio, un padre».
Qual è il significato dell’incontro del Papa con i familiari delle vittime delle mafie?
v «Accettando l’invito di Libera il Papa ha preso posizione, ha testimoniato che dobbiamo combattere le mafie e, al tempo stesso, la mentalità dilagante che ritiene impossibile sconfiggerle. Francesco ha ribadito che la Chiesa vuole esserci, in questo cammino di cambiamento, e vuole portare la speranza. Ringraziamo il Papa perché ancora una volta ha dimostrato vicinanza al popolo che soffre: la lotta alla criminalità organizzata è una battaglia del bene contro il male e noi non possiamo mollare».
Lei stessa all’inizio della cerimonia ha detto al Papa «guardi e legga nel nostro cuore la speranza di coloro che sono certi che le cose possono cambiare». Nel suo intimo, cosa chiede a Francesco?
«Non ho niente da chiedere per me, sono una persona felice: Dio mi ha dato il dono di riuscire ad affrontare le difficoltà e questo mi basta. Ho però un desiderio per la mia comunità . A breve verrà nominato il vescovo di Locri: vorrei che Francesco inviasse in Calabria un uomo illuminato. Noi laici impegnati abbiamo bisogno di un pastore che ci accompagni dandoci speranza».
La Chiesa fa abbastanza per dire no alla criminalità ?
«Ognuno di noi può fare di più. La Chiesa in particolare dovrebbe aggregare, tenere insieme le persone che fanno il bene e che si impegnano: la Chiesa può indicare un cammino. In Calabria la tradizione cristiana è radicata, ma è solo la fede sincera che può portare il cambiamento. Per questo la Chiesa dovrebbe essere un passo avanti: sì, si può fare molto di più».
Testo di Laura Bellomi