N. 22 1 settembre 2013
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Intervista

COLTIVARE IL CREATO E CUSTODIRLO

Il 1° settembre la Chiesa celebra la Giornata per il creato. Parla Simone Morandini, scienziato e teologo: «La sensibilità ecologica tra i cristiani sta crescendo, ma è ancora patrimonio di pochi»

Dal 2006 la Chiesa italiana celebra il 1° settembre la Giornata per la salvaguardia (da quest’anno “per la custodia”) del creato. Un’occasione per riflettere, pregare e verificare le prassi concrete. Credere ha intervistato Simone Morandini, studioso con alle spalle una formazione scientifica arricchita da un solido bagaglio teologico.

Professore, nel messaggio per la Giornata di quest’anno risaltano due verbi-chiave per indicare l’atteggiamento del cristiano nei confronti del creato: “coltivare” e “custodire”. Come si declina il rapporto tra questi due verbi, all’apparenza fra loro opposti? «I due verbi citati li troviamo in Genesi 2, laddove l’autore biblico intende descrivere ciò a cui è chiamato l’essere umano nel momento in cui Dio lo colloca nel giardino dell’Eden; ma essi esprimono anche due dimensioni fondamentali del nostro “stare sulla terra” alla luce di un’ampia riflessione scientifica. Gli esseri umani sono capaci, da un lato, di trasformare la natura; dall’altro, però, è importante che l’opera di trasformazione avvenga mantenendo sempre l’attenzione per la realtà che ne costituisce la base materiale. Giovanni Paolo II diceva che tutto il lavorare dell’uomo deve avvenire mantenendo memoria della donazione originaria che precede ogni nostro operare. Il binomio “coltivare” e “custodire” esprime proprio questo concetto: come uomini per natura siamo “trasformatori di natura” e, tuttavia, possiamo e dobbiamo farlo prestando attenzione a quella complessa e fragile realtà che è la creazione di Dio».

Che differenza c’è, dal suo punto di vista, tra parlare di “natura” e di “creato”, tra chi riconosce il creato come donazione originaria di Dio e chi, invece, ha un approccio diverso?

«Parlare del mondo in riferimento alla creazione significa evitare di farne un assoluto, ma, al tempo stesso, implica il fatto di riconoscerlo come cosa buona. In altre parole: il creato non è Dio, ma viene da Dio. Questo approccio ci pone al riparo da due rischi opposti. Il primo: considerare il mondo come una semplice cava di materiali per l’agire umano; dall’altro lato, assolutizzarlo, come se ogni trasformazione fosse indebita. L’idea di creazione che pone, invece, uomo e ambiente insieme sotto lo sguardo di Dio, ci libera da questi rischi. Una delle migliori icone di questo atteggiamento la troviamo nella coppia san Francesco-san Benedetto. Due figure legate entrambe alla fede nel Creatore, seppur in forma diversa: il primo testimone del lavorare come trasformazione del mondo, il secondo attento alla dimensione del contemplare e del custodire».

Morandini, dal suo osservatorio, registra una crescita di sensibilità ecologica dei credenti o no?

«Gli ultimi due decenni hanno certamente visto una profonda crescita di attenzione sul tema ecologico da parte delle varie Chiese cristiane. Ciò si è tradotto in pronunciamenti ufficiali delle diverse Chiese e in un rinnovamento delle pratiche, a vari livelli. Ma quest’ultimo resta limitato, purtroppo, ad alcuni ambiti particolarmente attenti; troviamo, infatti, pratiche platealmente contrastanti con l’atteggiamento della custodia del creato»

Tradotto in concreto?

«A fronte del fatto che il Vaticano è il primo Stato a emissioni zero, avendo scelto di riforestare per bilanciare le emissioni del proprio territorio, oppure di un’Aula Nervi coperta di pannelli solari, potremmo elencare molti esempi di sensibilità ecologica assai limitata all’interno della Chiesa, a vari livelli. C’è bisogno, quindi, di una crescita nelle pratiche, ma più ancora nella sensibilità. Ci sono comunità, e pure pastori, che non si rendono conto che quello ecologico è un problema nuovo, che merita attenzione, cura e scelte conseguenti».

Il messaggio della Giornata per la custodia del creato 2013 è incentrato sulla famiglia. Lei, come papà, cosa pensa si possa fare per educare i figli a questa sensibilità?

«Distinguo due livelli, il primo dei quali riguarda gli atteggiamenti fondamentali. La famiglia è il primo ambiente in cui si impara la responsabilità verso le generazioni future (come scrive Benedetto XVI nella Caritas in veritate). C’è poi l’ambito delle attenzioni da adottare nello spirito della “custodia del creato”: le scelte quotidiane che riguardano il riscaldamento, l’illuminazione, i trasporti, i consumi... Alludo, insomma, a quel “rinnovamento degli stili di vita” di cui è promotrice l’omonima Rete interdiocesana, molto attiva e capillare».

Nel messaggio dei vescovi per la Giornata si legge che la gratuità è «una prospettiva che fa cambiare lo sguardo sulle cose. Tutto diventa intessuto di stupore». In un contesto come l’attuale, ipertecnologico, non ha la sensazione che si debba recuperare uno sguardo “intessuto di stupore”?

«Negli ultimi decenni siamo passati da una società rurale a un ambiente urbanizzato; ormai vediamo più case che montagne. Lo stupore per la natura non è più un’esperienza condivisa per i nostri figli, a maggior ragione in un’epoca così permeata dalla realtà virtuale. Penso, però, che ci siano tanti modi di guardare alla natura: c’è una forma di stupore anche nello studio delle leggi della natura, colta attraverso lo studio e la scienza. In ogni caso, per le comunità cristiane si pone la sfida di trovare, in forme nuove, questo sguardo sulla natura, capace di coglierla come creazione. Il punto, allora, consiste nel tenere viva la sensibilità che era di san Benedetto, di san Francesco, di Ildegarda di Bingen o, prima ancora, dei salmisti: ogni cosa ci è data perché possiamo gioirne e coltivarla, ogni cosa ci è data per essere responsabili e lasciarla ad altri, dopo di noi, altrettanto buona e bella».

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