Credere n.5 - 5 maggio 2013
Pregando con il parroco del mondo
Ogni giorno il Pontefice celebra la Messa a Santa Marta con operai, impiegati del Vaticano e alcuni amici. Nelle omelie una…
L'angelo dei bambini
Domenica 5 maggio si celebra la XVII Giornata dei bambini vittime della violenza e della pedofilia. Don Fortunato Di Noto,…
Devozioni popolari oltre il folclore
Parla monsignor Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto, autore di un recente richiamo alle confraternite: «La religiosità …
Come fa Gesù a sentirmi in cielo?
Gesù riesce ad ascoltarmi anche se il cielo è lontanissimo?
Paolo Deriso ad Atene
L'apostolo si adopera per diffondere la Buona Novella predicando nelle piazze. I filosofi lo invitano a parlare in consiglio,…
Preghiera e rivoluzione
Inizia il mese mariano: gli scrittori alle prese con la novità dei messaggi testimoniati dalla Madonna.
L'intervista
Devozioni popolari oltre il folclore
dall'italia al brasile (e ritorno)
Barese, 64 anni, l'arcivescovo Filippo Santoro guida la diocesi di Taranto dal 2011. È stato responsabile di Cl in Puglia, poi missionario in Brasile, quindi ausiliare di Rio de Janeiro e vescovo di Petropolis
Le tradizioni religiose popolari «sono un patrimonio prezioso da custodire, salvaguardandone innanzitutto il valore spirituale, perché ogni forma di religiosità , con dignità e compostezza, non rasenti mai ostentazione o mero folclore, ma trasmetta la fede viva delle nostre comunità ». Va al nocciolo della questione monsignor Filippo Santoro, da un anno arcivescovo di Taranto dopo essere stato per quasi trent'anni sacerdote fidei donum e vescovo in Brasile, riflettendo sul senso della celebrazione romana del 5 maggio che, nell'ambito dell'Anno della fede, vede protagoniste dinanzi a Francesco le confraternite e le diverse espressioni della pietà popolare. Un appuntamento molto atteso anche da papa Bergoglio, a motivo della sua intensa devozione mariana, che ha già dimostrato a Roma in molteplici occasioni. La religiosità popolare è un tema che ha visto monsignor Santoro vivamente coinvolto nella scorsa Quaresima, quando ha inviato alle confraternite della diocesi tarantina una forte sollecitazione a impegnarsi «con semplicità e con vero spirito cristiano nel ricercare forme sempre più evangeliche di riproposizione delle nostre tradizioni, allontanando con coraggio tutto ciò che potrebbe offuscare il bello e il vero che celebriamo».
La processione dei Misteri, che nella notte del Venerdì santo percorre l'intera città , è un momento corale di devozione, ma ha anche non di rado suscitato polemiche a causa delle gare che, a suon di rilanci persino di migliaia di euro, si svolgono per l'aggiudicazione dei simboli religiosi trasportati durante il rito e che «spesso creano qualche smarrimento sia nei credenti che nei non credenti ». Di qui la proposta dell'arcivescovo affinché «su queste consuetudini si dia inizio a una riflessione per cercare insieme nuove forme che potrebbero divenire, gradualmente, segno più chiaro della carità della Chiesa a vantaggio dei poveri: Dio non ci chiederà conto delle belle processioni che abbiamo organizzato, che pure sono necessarie. Invece ci chiederà conto dei fratelli che non abbiamo amato abbastanza». Spiega monsignor Santoro: «Occorre conservare e custodire le nostre è quello di mostrare come – in tali devozioni – cultura, fede e vita del popolo siano profondamente unite». Nella sua diocesi, come in tante altre del mondo, le confraternite sono particolarmente vitali. Che cosa significa oggi farne parte? «Vuol dire trasmettere una devozione e un'esperienza viva da una generazione all'altra. È un percorso che viene adeguatamente sostenuto quando priori e padri spirituali svolgono una qualificata preparazione catechetica. Per esempio a Taranto, prima dei riti della Settimana santa, vengono proposti a tutti i confratelli ritiri spirituali e momenti penitenziali, per aiutarli a vivere un itinerario di conversione e di evangelizzazione che è strettamente connesso alla pietà popolare». Quale le sembra il sentimento più specifico di questa devozionalità ? «Il porre tutti gli aspetti della vita di ogni giorno dinanzi al mistero del "Dio vicino", che soffre con noi, ci dà speranza e, attraverso la madre di Gesù, asciuga le nostre lacrime e apre cammini di consolazione». La Madonna è dunque nel cuore di questa esperienza? «Indubbiamente. Le persone più semplici sentono la Vergine come una madre costantemente presente, che dona il proprio amore e indica il Figlio come meta dell'attesa umana. La devozione popolare è maggiormente orientata al mistero della passione, ma nella fede si spalanca poi alla certezza della risurrezione». In un mondo attento più all'immagine che alla sostanza, come si può allora far convivere folclore e devozione? «Valorizzando gli aspetti più originari della pietà popolare, quelli che le hanno consentito di resistere all'onda secolarizzante che ha investito tutta l'Europa. Occorre un grande rispetto per la bellezza dei riti tradizionali, insieme con un accurato sforzo per evangelizzarne la sostanza e per catechizzarne i contenuti. Quando il popolo si accorge che il pastore non interviene per distruggere, bensì per arricchire, la risposta è sempre positiva». domenica 5 maggio a roma un appuntamento importante, nell'anno della fede, con al centro la pietà popolare tradizioni e farle risplendere della bellezza e della semplicità evangelica. Anche rispetto ad altre nazioni, le nostre processioni sono più belle e più vere, poiché non domina il folclore, ma la fede sincera di un popolo che sa raggiungere anche quanti sono distanti dalle pratiche religiose. Ma una devozione senza la consegna del proprio cuore a Dio fin dal profondo è una menzogna. E dalla fede dobbiamo ripartire per costruire la solidarietà e dare speranza al nostro popolo e alla nostra terra».
I "misteri" di Taranto. Un momento di devozione corale, che però non di rado ha suscitato polemiche per il "giro di soldi" che si muove attorno all'evento
Qual è il senso di questa forte proposta della religiosità popolare che nell'Anno della fede viene fatta con l'incontro del 5 maggio?
«La religiosità popolare è un veicolo straordinario di trasmissione della fede e di comunicazione dell'esperienza dell'incontro con il Signore. Perciò, in questo Anno della fede, non poteva mancare un simile momento. L'intento è quello di mostrare come – in tali devozioni – cultura, fede e vita del popolo siano profondamente unite».
Nella sua diocesi, come in tante altre del mondo, le confraternite sono particolarmente vitali. Che cosa significa oggi farne parte?
«Vuol dire trasmettere una devozione e un'esperienza viva da una generazione all'altra. È un percorso che viene adeguatamente sostenuto quando priori e padri spirituali svolgono una qualificata preparazione catechetica. Per esempio a Taranto, prima dei riti della Settimana santa, vengono proposti a tutti i confratelli ritiri spirituali e momenti penitenziali, per aiutarli a vivere un itinerario di conversione e di evangelizzazione che è strettamente connesso alla pietà popolare».
Quale le sembra il sentimento più specifico di questa devozionalità ?
«Il porre tutti gli aspetti della vita di ogni giorno dinanzi al mistero del "Dio vicino", che soffre con noi, ci dà speranza e, attraverso la madre di Gesù, asciuga le nostre lacrime e apre cammini di consolazione».
La Madonna è dunque nel cuore di questa esperienza?
«Indubbiamente. Le persone più semplici sentono la Vergine come una madre costantemente presente, che dona il proprio amore e indica il Figlio come meta dell'attesa umana. La devozione popolare è maggiormente orientata al mistero della passione, ma nella fede si spalanca poi alla certezza della risurrezione».
In un mondo attento più all'immagine che alla sostanza, come si può allora far convivere folclore e devozione?
«Valorizzando gli aspetti più originari della pietà popolare, quelli che le hanno consentito di resistere all'onda secolarizzante che ha investito tutta l'Europa. Occorre un grande rispetto per la bellezza dei riti tradizionali, insieme con un accurato sforzo per evangelizzarne la sostanza e per catechizzarne i contenuti. Quando il popolo si accorge che il pastore non interviene per distruggere, bensì per arricchire, la risposta è sempre positiva».
Testo di Saverio Gaeta