N. 6 12 maggio 2013
Gilberto Borghi: il libro

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Oggi ha 85 anni, ma fin da giovane, a Nomadelfia, ha preso con sé bambini orfani e senza famiglia. Nella sua vita maternità…

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"Nonno, ma perché Gesù, che è il più buono tra i buoni, stava sempre in mezzo ai peccatori?"

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La storia

Mamma Zaira e i suoi 30 figli

Oggi ha 85 anni, ma fin da giovane, a Nomadelfia, ha preso con sé bambini orfani e senza famiglia. Nella sua vita maternità fa rima con vocazione.

Zaira, Mamma di 30 figli adottivi nella comunità di Nomadelfia

"Mamma" Zaira (Foto Comunità di Nomadelfia).

Lucia, Mario, Antonello, Lina, Rita, Sandra, Maria, Marco… Difficile scrivere tutti i nomi dei trenta figli di Zaira, “madre di vocazione”, come chiamano a Nomadelfia le donne che nella comunità voluta da don Zeno Saltini hanno scelto di consacrare la loro vita ad accogliere, da nubili, i bambini abbandonati. «Fin da piccola ho avuto una pratica religiosa regolare grazie alla mia famiglia», racconta Zaira, 85 anni, che incontriamo nel piccolo appartamento della prima periferia milanese dove abita quando da Nomadelfia viene a Milano.

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Riminese di origine, Zaira perde la mamma a 18 mesi. Papà Cesare si risposa e lei cresce serena. «Da giovane la mia idea sulla vita era di studiare – ho fatto le magistrali – e poi di sposarmi e avere dei figli. Fino a 18 anni ho avuto anche qualche simpatia, ma niente di serio». A quell’età avviene l’incontro fatale con don Zeno e con i suoi ragazzi, che il sacerdote portava in vacanza in una colonia di Rimini vicino alla casa della ragazza. «Mio padre lo invitava spesso da noi, ne era affascinato e lo aiutava come poteva. I problemi con papà sorsero quando decisi di lasciare tutto e di trasferirmi armi e bagagli a Nomadelfia per dedicarmi a un ideale altissimo, che ancora oggi amo con tutta me stessa», dice con piglio la donna.

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Ma andiamo con ordine. Nel 1947 Zaira, su invito di don Zeno, va a fare un’esperienza nell’ex campo di concentramento di Fossoli, nel Modenese, che la comunità ha pacificamente occupato qualche mese prima. Lì fa un po’ di tutto: insegna, cucina, lava, stira, accudisce. Nel febbraio del ’48, ormai decisa a rimanere, firma le costituzioni appena approvate. Lo fa con la penna rossa invece che nera perché è ancora minorenne. Successivamente confermerà la sua scelta di restare. I genitori però si oppongono. «Non volevano che lasciassi casa, era una vita troppo avventurosa per loro. E difatti lo è stata!», chiosa con una sonora risata. Nella questione vengono coinvolti il suo parroco, il vescovo, addirittura il maresciallo dei Carabinieri, a cui la ragazza spiega di persona i motivi della sua scelta.

«Mi ero appena fidanzata con un ragazzo di Nomadelfia, ma ho capito che la mia strada non era quella del matrimonio». In quei turbolenti mesi matura la scelta di diventare mamma di vocazione. «Ho scoperto un nuovo modo di vivere, di amare: qualcosa che non scaturisce solo da un sentimento umano, legittimo e doveroso, ma che è rinforzato potentemente dalla fede, che ci fa vedere gli altri come fratelli, persone di cui porto la responsabilità anch’io, anche noi; persone di cui dovrò rispondere un giorno dinanzi a Dio». E Nomadelfia, infatti, in greco significa proprio questo: “Dove la fraternità è legge”.

Si tratta né più né meno che della catechesi quotidiana, con le parole e con la vita, che lei ascolta da don Zeno e che vede incarnata in lui. «Tutti i rapporti umani sono da vedere nell’ottica di Dio: ogni uomo è mio fratello e ogni donna mia sorella, persone verso cui porto una responsabilità diretta, non delegata e non delegabile», sintetizza Zaira. Tesi forti, concrete, radicali, che porteranno anche qualche persecuzione a questo prete inquieto e tenace, idee che scaturiscono da un cuore innamorato di Cristo.

«Mi sono appassionata per quella vita semplice e povera che si viveva a Nomadelfia», riprende la donna. Subito dopo la firma delle costituzioni, al brefotrofio di Roma, riceve otto bambine dai 2 ai 10 anni. Sono le prime figlie. Le vengono consegnate, come è consuetudine a Nomadelfia, da don Zeno all’altare, durante la Messa. Lì si sente dire quello che riascolterà ancora molte volte nel corso della sua vita, ogni volta che le verrà affidato un nuovo figlio. Sono le parole di Gesù in croce: «Donna, ecco tuo figlio; figlio, ecco tua madre». «Ho chiesto al Signore il dono della fedeltà, quelle creature avevano già perso la mamma una volta e non dovevano perderla una seconda volta a causa mia. Vivevamo in una grande povertà, ci siamo stretti tutti nella camera e nei letti. La prima notte mi sono svegliata con le due bimbe più piccole che mi baciavano, da una parte all’altra, sulle guance».

Zaira ha anche provato il dolore della morte di un figlio: Marco è morto a un anno di età di meningite fulminante. «Impossibile dire quanto ho sofferto, per anni quando vedevo una bara bianca piangevo per la madre, ma mi ha insegnato ad apprezzare le persone quando le abbiamo vicine».

La vita procede, arrivano altri figli. Zaira si occupa di loro e di quelli delle altre mamme, perché a Nomadelfia, che nel ’49 si è trasferita in provincia di Grosseto, i figli sono di tutti. Sei anni dopo va a Milano, da dove fa la spola con Nomadelfia, per occuparsi dei rapporti con i benefattori. Le vengono affidati altri bambini, li alleva tutti portandoli fino alla vita autonoma. Oggi esprime un augurio: «Vorrei che, attraverso un papà e una mamma, ogni bambino sentisse l’amore di Dio, che è padre e madre di tutti». Sono la maternità e la paternità universale, l’eredità preziosa di don Zeno Saltini alla Chiesa di Cristo.

Testo di Stefano Stimamiglio

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