Credere n.7 - 19/05/2013
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Dio tiene la porta sempre aperta
L’Anno della fede «occasione per coloro che hanno nostalgia del Signore e vogliono incontrarlo di nuovo»
Baranzate (Milano)
IL MIRACOLO DELL’UNITA’ POSSIBILE
Più di un abitante su quattro è straniero. Eppure, grazie alla mobilitazione della comunità cristiana, per tanti immigrati la parrocchia è diventata una casa. Il racconto di don Paolo Steffano.
UN’ASSEMBLEA VARIEGATA - La Messa festiva a sant’Arialdo; vi partecipano anche diversi stranieri (Foto di Stefano Pavesi).
Poche centinaia di metri separano il cartello “Milano†da Baranzate. Eppure, andarci è come fare un balzo nel futuro, nell’Italia di domani. In questo paesotto alla periferia della città – tirato su di corsa a partire dagli anni del boom economico, quando accolse migliaia di meridionali in cerca di lavoro – oggi vivono tremila stranieri su undicimila abitanti, il 26,5 per cento: uno dei Comuni col più alto tasso di immigrati d’Italia. In una sola strada del paese, la ormai nota via Gorizia, abitano persone provenienti da 72 nazionalità diverse.
A due isolati di distanza, ecco la parrocchia di Sant’Arialdo. Chiesa moderna, stile anni Sessanta, a forma di tenda; sul retro l’oratorio, con un campetto da calcio assediato dai palazzoni.
Ebbene, in questa chiesa di periferia ogni settimana si ripete il miracolo di Pentecoste: le diversità diventano ricchezza, scambio, un tesoro per tutti. Ogni domenica a Sant’Arialdo si rinnova qualcosa di simile al prodigio descritto nel libro degli Atti degli apostoli, dopo l’arrivo dello Spirito Santo: ognuno si sente a casa. A Sant’Arialdo accade qualcosa del genere: chiunque entri, si percepisce accolto. A prescindere dal colore della pelle o dalla lingua che usa. La domenica che ci sono andato, ho sentito la prima lettura pronunciata in spagnolo da José, panamense; una delle preghiere dei fedeli l’ha letta Mariana, in albanese. E al momento del Padre Nostro all’ambone è salita Regina, ivoriana, che al microfono ha parlato in francese, mentre dall’assemblea si alzava un coro solo all’apparenza confuso: ciascuno, in realtà , stava recitando la preghiera insegnataci da Gesù nella sua lingua, a bassa voce. Sull’altare anche un seminarista indiano e uno messicano, entrambi del Pime. Insomma: uno spettacolo. Da Sant’Arialdo vieni via con una convinzione: la Chiesa si chiama “cattolica†perché è universale. E qui a Baranzate – dove c’è «il mondo in un quartiere» (come recita uno dei murales all’inizio di via Gorizia) – ci credono davvero.
Non che tutto fili liscio. Il numero di cartelli “Vendesi†sulle case che si affacciano su via Gorizia e dintorni è eloquente di un fatto: chi può, fra gli italiani, cerca di andarsene. Fare i conti con Babele, al di là del “folclore†e del clamore dei giornali, non è cosa facile.
Ne sa qualcosa don Paolo Steffano, 48 anni, unico sacerdote della parrocchia, dove risiede dal 2004.
LA GIOIA DELLA FEDE E LA FESTA IN STRADA - Momenti di una recente festa in piazza, con pranzo multietnico. A Baranzate un terzo degli immigrati sono europei dell’Est, un terzo vengono dall’Africa; ci sono inoltre cinesi e filippini e molti ecuadoregni e peruviani (Foto di Stefano Pavesi)..
«Vivere da cristiani qui implica misurarsi con il contesto sociale in cui siamo immersi. Ma senza fare troppa teoria». Ecco allora che la comunità , sia sul fronte ecclesiale che civile, si rimbocca le maniche: corsi di lingua per stranieri (due, uno ad hoc per le mamme); una casa di accoglienza, gestita da una donna serbo-bosniaca, con dieci posti-letto per i parenti dei malati (a due passi c’è l’ospedale Sacco); la distribuzione di generi alimentari, anche freschi, grazie a un accordo con Coop Lombardia… «Come comunità cristiana stiamo costruendo una serie di occasioni e realtà che puntano a favorire l’inserimento degli stranieri nel tessuto vivo della parrocchia – sottolinea don Paolo –. Ma la vera sfida sta nel passare da una parrocchia che aiuta a una comunità che accoglie e rende protagoniste le persone, italiane o straniere che siano».
Di passi avanti, in questi anni, ne sono stati fatti tanti, nonostante tutto.
Ad esempio: una mamma filippina, Babilin, e una peruviana, Gladys, collaborano per la catechesi, altre due (l’ecuadoregna Miriam e la cilena Helga) fanno parte del Consiglio pastorale. Alla domenica si alternano, per la liturgia della Parola, lettori di tre gruppi linguistici: albanese, spagnolo e cingalese.
A Baranzate si sono inventati pure “l’affido familiareâ€: una famiglia si fa carico di un’altra, coltivando le relazioni. «Funziona tra le famiglie straniere, ma – giura don Paolo – non di rado ci sono immigrati che si prendono cura di italiani». Perché ormai, pian piano, le barriere cominciano a cadere.
Ma non incontrate anche resistenze? «Dico spesso ai miei parrocchiani che a Baranzate nessuno può vantare nonni originari di qui – ribatte don Paolo –. Alcuni, che hanno vissuto la discriminazione sulla loro pelle ai tempi dei “terroniâ€, capiscono che ora è venuto il loro turno di aprirsi agli altri; altri, purtroppo, no. Non è una scommessa facile, certo».
Don Paolo sta provando a vincerla giocando tutto sulle relazioni. «Come parroco cerco di mobilitare i laici e di affidare responsabilità a ciascuno. L’oratorio, ad esempio, ha una responsabile laica; due suore mi affiancano per il catechismo e la Caritas; una decina di volontari mi danno una mano preziosa. Molte attività di solidarietà della parrocchia sono gestite dall’associazione di promozione sociale “La rotondaâ€. Tutto questo permette al prete di “fare il prete†davvero, coltivando relazioni significative con le persone».
Testo di Gerolamo Fazzini
Foto di Stefano Pavesi