Credere n.8 - 26/05/2013
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Per parlare di Cristo, partiamo da Adamo
Una mamma, si sa, non può permettersi di morire prematuramente, con i bambini ancora piccoli. È categoricamente escluso.
Marta Russo
Quando un «sì» regala nuova vita
I genitori di Marta Russo, la ragazza uccisa in Università a Roma nel 1997, hanno fondato un’associazione per promuovere la donazione di organi. La mamma: «Nella grande sofferenza lo Spirito Santo mi ha dato la forza di andare avanti»
TRA PASSATO E PRESENTE - I coniugi Russo nella loro casa romana. La stanza delle loro figlie è diventata la sede dell’associazione intitolata a Marta. (Foto ALBERTO CRISTOFARI / A3 / CONTRASTO).
Non sa cosa vuol dire piangersi addosso. Dopo la tragica e assurda morte di sua figlia Marta, uccisa sedici anni fa mentre passeggiava con un’amica all’Università La Sapienza, Aureliana Iacoboni Russo vive «con una ferita sempre aperta: il dolore non finisce mai». Ma la sua sofferenza rimane quasi sullo sfondo: «Dovevo pensare a stare vicina a mio marito Donato e a mia figlia Tiziana, che era legatissima alla sorella minore di tre anni. Dovevo fare l’equilibrista, essere l’ago della bilancia». E quando le chiedi chi le dia la forza per andare avanti, per reagire, risponde subito: «Penso sia opera dello Spirito Santo».
Aureliana, 69 anni, ha alle spalle una storia simile a tante altre: incontra Donato, originario della provincia di Avellino e insegnante di educazione fisica, quando lui arriva a Roma per un concorso destinato a maestri di scherma e poi per la successiva Accademia. Si conoscono tramite amici comuni e nel 1970 si sposano; due anni dopo nasce la primogenita e nel ’75 Marta. «Una ragazza semplice: non le piaceva primeggiare – ricorda –. Praticava la scherma a livello agonistico, incrociando la spada in una gara anche con Valentina Vezzali quando l’attuale campionessa aveva 10 anni. Durante il liceo, decise di smettere per dedicarsi completamente allo studio; poi scelse di iscriversi alla facoltà di Giurisprudenza: voleva diventare magistrato, il suo pallino era quello di aiutare gli altri».
La vita della famiglia Russo procede serenamente. Fino a quel colpo di pistola sparato il 9 maggio 1997, che colpisce Marta alla testa: si spegnerà cinque giorni dopo. Quando i medici ne decretano la morte cerebrale, i genitori e la sorella esprimono l’assenso per l’espianto e la donazione degli organi: una decisione da prendere velocemente, mentre si vive il dramma della perdita, il distacco innaturale e prematuro da una figlia. «In quel momento ho detto un sì per la vita degli altri e sono passata da un dolore tremendo a una grande serenità interiore. Perché con quel sì permettevamo ad altri di vivere, nella consapevolezza di aver fatto la volontà di Marta, che aveva sempre espresso questo desiderio».
Nel tunnel di sofferenza, Donato si chiude in se stesso e prova ribellione, rabbia verso Dio. Ma il suo matrimonio resta saldo. Aureliana si aggrappa alla fede, sostenuta anche da don Vincenzo, parroco del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo: «Ci è stato vicino senza bisogno di dire tante parole, ma con quella solidarietà ed empatia che arriva al cuore. Fino al gesto di dedicare il fonte battesimale a nostra figlia», confida Aureliana.
Sono anni durissimi, bui. Anche a causa del processo «lungo e doloroso». Fino alla decisione di fondare un’associazione che promuovesse la donazione degli organi, intitolata proprio a Marta. Una scelta maturata anche dopo aver conosciuto diversi destinatari del “dono†compiuto dalla figlia. Come Domenica, madre di quattro figli, ora nonna: «L’abbiamo incontrata personalmente in Sicilia dopo qualche mese. Ma il senso non è quello di ritrovare “parti†del tuo congiunto. Infatti apprezzo che ora la legge vieti il contatto tra familiari del donatore e persona trapiantata… Il significato profondo della donazione è la gratuità assoluta del gesto, che consente un ritorno alla vita».
E di risurrezioni l’associazione, che conta sedi in diverse regioni d’Italia, ne ha viste molte, in questi sedici anni. Insieme a Donato, Aureliana viene chiamata in tutta Italia per portare la sua esperienza e diffondere la cultura della donazione degli organi: «Oltre al gesto di amore che permette a molte persone di continuare a vivere, aiuta i familiari dei donatori ad affrontare la separazione da un proprio caro con più forza e serenità , per la consapevolezza di aver salvato delle esistenze». Come madre che ci è passata, sa cosa dire e come farsi vicina ad altre mamme che hanno perso tragicamente un figlio, spesso in un incidente stradale: «Le incito a farsi forza per gli altri figli, a non chiudersi nella disperazione. E quando sono sfiduciata mi affido sempre a Gesù», conclude.
Il nome di Marta rivive in scuole, parchi, tornei di scherma e premi che le sono intitolati. Donato e Aureliana ci sono sempre, con gli occhi lucidi e un sorriso. Lui va al cimitero del Verano ogni settimana, lei più di rado. A casa, in quella che era la stanza delle sue figlie, ora c’è la segreteria dell’associazione, cuore pulsante da cui partono decine di iniziative. «La cosa più bella? Vedere che ogni anno tanti ragazzi ricordano Marta, partecipando al concorso indetto in suo nome». L’ultima premiazione, l’undicesima, si è svolta il 7 maggio al Teatro Golden, alla presenza di 400 studenti delle superiori: «Hanno preparato opere letterarie, figurative e multimediali sulla donazione degli organi. Le conservo tutte negli armadi, ormai stracolmi. Vorrei allestire una mostra per valorizzarle – auspica Aureliana –. L’obiettivo è quello di raggiungere e sensibilizzare i giovani alla solidarietà e al dono. Perché in Italia oltre novemila persone attendono un sì per continuare a vivere». Â
Testo di Laura Badaracchi